ARCHEOLOGIA ALIMENTARE rubrica a cura di Gino Primavera: UÈ BACCALÀ!

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Ci sono dei cibi che assumono particolare valore se consumati in determinati periodi, e questi giorni tra l’autunno e l’incipiente inverno sono giorni di baccalà!

Intendo il merluzzo nordico salato e non l’appellativo “baccalà!” che possiamo affibbiare a qualcuno non certamente per fargli un complimento. Il lessico non è tenero nei confronti di chi potrebbe essere un “baccalà”: è quantomeno dire che è una persona sparuta e allampanata, se non stupida e malaccorta, o, in altri tempi, un pericoloso miscredente in tema religioso. Beh, povero baccalà, cibo che condivide la nostra denigrazione con quella che perpetriamo anche per lo sfortunato “porco” che, da animale utile come riserva di cibo, diventa nel nostro linguaggio sinonimo delle peggiori porcherie (ops …sono caduto anche io nel trabocchetto linguistico). E invece porco e baccalà, a parte le denigrazioni linguistiche, rappresentano due alimenti che hanno permesso la sopravvivenza di intere generazioni, come contenitori di proteine e grassi da utilizzare nei periodi di scarsità dei cibi, e, nel caso del baccalà, bisogna anche dire che  la presenza dello iodo ne faceva un cibo che era quasi un presidio farmaceutico per le malattie della tiroide nelle zone montane d’Abruzzo. Ma si sa quanto poca sia la riconoscenza dell’uomo!

Dal merluzzo bianco (Gadus morhua) dei mari del nord (da non confondere con il nostro merluzzetto che è un nasello) otteniamo diversi prodotti:

–          il baccalà che è il pesce salato e che presenta sale affiorante;

–          il “gaspè” che si produce in Canada, nell’omonima regione, che è appena salato e poi essiccato, e si presenta di un bel colore ambrato;

–          Lo stoccafisso, che in Veneto chiamano erroneamente baccalà, che è il pesce essiccato per lungo tempo, e si presenta duro; quello più pregiato viene definito “ragno”.

Dal punto di vista nutrizionale il baccalà autenticamente attuale, è ricco di proteine di alto valore biologico, povero di grassi e con un modesto valore calorico; molto digeribile, è consigliato per tutti, e per il suo contenuto nutritivo è particolarmente adatto per gli adolescenti e gli anziani.

La qualità del baccalà dipende dalla lavorazione accurata, dalla pezzatura e dallo stato di conservazione: deve presentarsi bello bianco senza screpolature e ingiallimenti. Il baccalà si lava, si mette in ammollo prima per 8 ore senza cambiare l’acqua e poi cambiandola frequentemente per un periodo che varia da 2 a 3 giorni a seconda della pezzatura e dello stato di umidità che ha all’origine; è importante che l’ammollo avvenga in un ambiente fresco o ancora meglio in frigorifero, in quanto un ambiente caldo potrebbe favorire processi di putrefazione. Questo è particolarmente importante per lo stoccafisso che ha un ammollo di 8-9 giorni.

Dal punto di vista gastronomico il baccalà è molto versatile; si può usare in antipasti caldi e freddi, in primi e secondi piatti. In molte cucine regionali italiane, dal nord al sud, vi sono piatti tradizionali realizzati con questo pesce “veloce del baltico”, per dirla con Paolo Conte, e molti famosi chef lo utilizzano per piatti innovativi. Piatto globalizzato che mette d’accordo un po’ tutti. Da noi le ricette più comuni e tradizionali riguardano i connubi tra baccalà e peperoni freschi e arrostiti o secchi e tostati, con i ceci, o con le patate e le cipolle, in bianco o con i pomodori, ma perché no con l’uvetta e i pinoli, o mantecato spalmato su crostini, o cotto con il latte ,ma anche farci un bel sugo di pomodori con il quale condire una ottima chitarra.

Riporto una antica ricetta di Guardiagrele e una più moderna.

“Baccalane e chicucciole sicche (zucchine secche)”.

Si tratta di una ricetta unica, in via di estinzione per la difficoltà a reperire le zucchine secche ottenute da zucchine piuttosto cresciute che vengono essiccate a striscioline al sole, e, per conservarle per l’inverno, si scottano in acqua bollente; quindi si asciugano e si congelano. Per utilizzarle si fanno rinvenire in acqua calda e, dopo aver preparato del baccalà in umido con salsa di pomodoro, si aggiungono a metà cottura.

Si accompagna il piatto con pizza di granturco (pizza di rantinje)

E ci beviamo su un buon cerasuolo abruzzese

Baccalà al vapore con polvere di peperone verde e fagioli a pisello

Ingredienti per 4 persone

–  Baccalà in ammollo 800 g

– Fagioli “a pisello” secchi 150 g

– Polvere di perone verde

– *Olio monovarietale di Intosso 8 cucchiai

-Sale, pepe e peperoncino piccante

Preparazione:

mettere in ammollo per una notte i fagioli e poi metterli a cuocere in una pentola con abbondante acqua, sedano, carota, cipolla e un rametto di santoreggia; tagliare il baccalà a pezzi abbastanza grandi e cuocerli al vapore con rametti di finocchio selvatico; lasciarlo intiepidire e ridurlo a scaglie con le mani (il buon baccalà si deve sfogliare). In un piatto di portata disporre baccalà e fagioli a pisello teneri e burrosi, spolverare di pepe e polvere di peperone verde, unire peperoncino tagliato a pezzettini, un pizzico di sale e condire con il buon olio di intosso*. Da servire come secondo piatto o antipasto, ma anche come piatto unico con pane di farro integrale.

Un Trebbiano d’Abruzzo di buona struttura è un eccellente vino da accompagnare a questo piatto.

* C’è un posto adagiato sotto la Maiella orientale, la madre dei monti. E’ un altipiano dipinto come una guantiera che accoglie un Mont Blanc rivolto verso le cime, cima Ugni, cima Macirenelle, e che abbraccia con uno sguardo grandangolare la costa adriatica dal teramano alle coste pugliesi e, spaziando col chiaro, si spinge fino alle isole Tremiti e alla costa slava. La sua terra è ricca di storia, di strazi avvenuti sul filo della linea Gustav che l’attraversava, di storie più antiche di insediamenti romani. E’ terra ricca di pietre che brillano al sole e ne rubano il calore cedendolo alle piante. A primavera, dopo la lavorazione, il terreno appare tutto bianco e immacolato per le pietre che l’erpice porta in superfice durante la sua preparazione. E tra quelle pietre, in quel mare bianco, spuntano i vecchi tronchi degli olivi di varietà intosso, nodosi, quasi sofferenti, mentre cominciano ad abbozzare tra le fronde rade le coccole di fiori, le nticchie, come dicono qui, che daranno drupe dalla dura polpa, frutti ineguagliabili per il profumo e il sapore che cederanno poi    all’olio futuro, unico e irripetibile, prodotto dalla sofferenza e dalla durezza della natura.

Da” Storie di cibo e memorie da salvare” ed Tabula Fati  di Gino Primavera

Gino Primavera     21 nov 2023