ARCHEOLOGIA ALIMENTARE rubrica a cura di Gino Primavera: L’OLIO NOVELLO PER GLI SPAGHETTI ALLA TRAPPITÀRA

Ormai ci siamo, l’annata dovrebbe essere buona, l’attacco della mosca è contenuto, i frantoiani hanno cominciato a molire le prime partite di olive e l’olio dovrebbe essere di buona qualità. Il rito dei commenti si rinnova ogni anno: “ma quante ta fatte?”, qual è la resa?”. “Stanne l’olio iè forte!”, l’olio è fruttato, si sentono bene il piccante e l’amaro delle olive, per alcuni un difetto, in realtà un superbo carattere organolettico degli oli migliori. Antichi e sbagliati luoghi comuni ci dicono che l’olio deve invecchiare per essere buono: falso, vuoi mettere il profumo e il sapore di un buon olio appena fatto che irrora una fetta di pane casereccio? Ogni anno si rinnova un ciclo consueto fatto di parole, di scambi, di gusti condivisi: una tappa nella quale è quasi un dovere essere presenti e testimoni. E allora ho già provato un olio delle piane di Caprafico, ottenuto su un altopiano della Maiella orientale su terreni brecciosi che promette proprio bene; ha un bel fruttato molto equilibrato e ha trovato accoglienza su una fetta di pane a lievitazione naturale appena scaldata al forno: un tripudio di sapori e odori.

La grande varietà di ulivi in Abruzzo, più di trenta, ci permette di costruire grandi oli monovarietali o, mischiando varie tipologie di olive, oli di gran pregio abbinabili a molti piatti della cucina abruzzese: “ad ogni piatto il suo olio”, sì perché l’olio bisogna saperlo accompagnare alle pietanze, così come si fa per i vini, per una maggiore valorizzazione di cibo e di olio.

Immaginate un trappèto (dal latino Trapetum),  il frantoio, il luogo nel quale avveniva la molitura e la pressatura delle olive. Immaginatelo anni fa, nei giorni di frenetica raccolta esclusivamente manuale delle olive, con i tempi lunghi che la raccolta richiedeva e che si concentrava nei pochi giorni di novembre quando il tempo rasserenava. Accadeva allora che i frantoi si riempivano di gente che portava le olive giorno e notte per loro trasformazione in olio prezioso. Nella ressa si poteva creare anche un clima di attesa snervante, anche liti e dissapori, ma ecco che il frantoiano, per ingannare l’attesa, offriva ai clienti un piatto fumante di spaghetti conditi ad arte con l’olio appena uscito dalle presse e un buon bicchiere di vino. Così nacquero gli “Spaghetti alla trappitàra” che vi propongo in questa ricetta.

“Spaghetti alla trappitàra”: piatto che si usava preparare nel Trappèto, con l’olio nuovo appena fatto.*

Ingredienti x 4 persone:

400g di spaghetti

5 filetti di alici salate

Aglio 2 spicchi, peperoni secchi dolci 4 preferibilmente quelli di Altino, peperone dolce in polvere 2 pizzichi, peperoncino se si vuole, prezzemolo, olio evo  novello, sale q.b.

N 1 mestolo d’acqua

Procedimento:

In una casseruola far rosolare velocemente nell’olio, novello e fruttato, l’aglio tagliato grossolanamente e i peperoni fin che si tostano, ma attenzione a non farli bruciare. Togliere i peperoni e farli raffreddare perchè diventino croccanti; aggiungere all’olio le alici spezzate con le dita, il peperone in polvere, fermare la cottura con un piccolo mestolo d’acqua calda, unire il prezzemolo tritato. Cuocere gli spaghetti in acqua bollente salata e condirli con la salsa precedentemente preparata unendo con generosità olio crudo e sbriciolandovi i peperoni secchi tostati. A piacere si può aggiungere peperoncino piccante. Dato il periodo, questo piatto si può servire con un vino novello oppure un Montepulciano d’Abruzzo giovane affinato in acciaio.

*(ricetta tratta dal Libro “La cucina della Maiella”  Ed Tarka di Gino Primavera e Lucio Biancatelli )

Gino Primavera