VINCITORI & PERDENTI

Cala il sipario sulle elezioni 2014 Qualche riflessione è d’obbligo. Candidati, eletti e non eletti, elettori e votanti. L’Europa è ancora lontana, ma il comune e la regione sono realtà vicine, toccabili con mano, anzi con le mani. Tese dai candidati, nuovi e uscenti, per sollecitare consensi più o meno (sempre meno) motivati da programmi scarni o progetti quasi inesistenti. Il momento richiede sobrietà e così anche i festeggiamenti hanno toni bassi.
D’altra parte questa è una resistenza, la guerra è lontana dall’essere vinta. Un pugno di voti può decretare una vittoria o un’ inesorabile scomparsa dalla scena politica. Niente di nuovo sotto il sole, insomma. Certo qualcuno ci ha creduto, sull’onda degli entusiasmi della cavalcata renziana, che la città fosse pronta a quel “cambiamento” tanto richiesto nelle piazze, reali e virtuali dove più o meno tutti, si sono spesi con metodi comunicativi di nuova concezione ma (ahimè!), di vecchi contenuti. La parola “cambiamento” ( che a forza di usarla ha perso il significato) è difficile da riconoscere in un contesto piccolo, locale, dove anche l’antagonista di turno ha un vissuto storico ben conosciuto. E gli elettori? Quelli che a gran voce hanno sempre chiesto ascolto, servizi, lavoro (si, noi insomma), cosa vogliamo? E per averlo come votiamo? Ascoltando i commenti a urne chiuse e risultati conclamati c’è di che rimanere senza parole. Gli addetti ai vari seggi elettorali possono raccontare di umanità varia: c’è stato chi guardando gli elenchi delle varie liste e simboli ha consigliato a chi aveva accanto “se non sai quale scegliere, scegli quello (il simbolo) più carino”. Oppure i voti disgiunti, che hanno fatto impazzire gli scrutatori quando non chiari. Perché il voto disgiunto è un altro di quegli strumenti che nasce per un alto principio di democrazia e si trasforma in un delirio quando usato senza considerate l’effetto che produce. Così sono state davvero tante le schede in cui si è scelto un sindaco di uno schieramento e consiglieri dell’opposto. Con risultati senza risultato, vincitori senza lode e perdenti senza biasimo. Anche tra i votanti che salomonicamente hanno distribuito i loro consensi. Cose che capitano a Teramo, dove in ogni famiglia c’era un candidato e quindi un voto era destinato alla politica e l’altro al parente. La battaglia è conclusa, i vincitori hanno dato libero sfogo alla tensione degli ultimi giorni di campagna elettorale, peraltro in perfetto stile”finale di champions”, i vinti hanno tirato un sospiro (di sollievo?). Ma non è stata una partita.
C’era in ballo il nostro futuro prossimo. Cinque anni in cui ci aspettano una crisi ancora lontana da superare, lavoro che diminuisce (in barba ai grafici di previsione), giovani che dovranno scegliere se restare o partire, imprese sempre in difficoltà e tasse che non
accennano a diminuire. Teramo rispecchia la condizione dell’Italia, solo che qui, tra guelfie ghibellini, anatre e papere, il Feudo borbonico resiste. Alla faccia degli spagnoli che invece vogliono disfarsene.

PrimaPagina edizione Luglio 2014 – di Mira Carpineta