UNA VECCHIA FIABA SEMPRE ATTUALE

napolitano-politici-affannoUna vecchia fiaba, utile per l’attualità come chiave di lettura della crisi che viviamo. Non è male l’idea di rimettere al centro, in tempi di “spread” impazzito, la “teoria di Mandeville”. Siamo fra rovine e disastri, a cominciare da quelli del terremoto, ma niente paure e sgomento. Le “calamità concorrono al benessere generale”. Parola di Bernard de Mandeville, medico e

filosofo olandese. Le costruzioni ridotte a macerie? Risorgeranno più belle di prima, grazie a carpentieri e manovali, che con il nuovo lavoro conosceranno un benessere maggiore. Il premier Monti lo sa, da gran tecnico qual è. Sa fare i conti meglio dei politici, per capire che “la somma dei benefici causati dall’evento disastroso… supera la somma dei lutti”. Il modello dell’alveare di Mandeville funziona pure per l’oggi, spiegato così: « Il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione forte e gloriosa». Nei mesi trascorsi abbiamo sprecato tempo e mezzi, in nome del recupero della buona politica e dell’etica. Accaniti contro “bunga-bunga” e facili costumi, siamo entrati in collisione con la “religione di Mandeville”, che in materia sentenzia: “Il libertino, nel soddisfare i suoi vizi, si dimostra anche prodigo nel dare lavoro ai sarti, ai servitori, ai cuochi e alle donne di vita, che a loro volta spenderanno a beneficio di altre categorie”. Conclusione: “Della rapacità e violenza del libertino se ne avvantaggerà tutta la società nel suo insieme”. Né possiamo farci condizionare troppo dalla norma eticamente perentoria: “Il vizio è peccato”. Principio a cui è ancorato il nostro “alveare”, influenzato (ma ora non troppo) dall’alto magistero di Papa Ratzinger. Meglio e di più dalle manovre del premier Mario Monti, che nella difesa ad oltranza dei conti dello Stato, trova più consona la teoria del medico filosofo, che arriva a sostenere (in barba al principio montiano dell’austerità) “la necessità del vizio, poiché la ricerca della soddisfazione del proprio interesse è la condizione prima della prosperità”. Modello opposto quello di coloro che, viceversa, “impostano l’esistenza secondo il virtuoso principio di accontentarsi della propria condizione, conducendo una vita di rassegnazione e pigrizia…”. Ma così danneggiano la produzione industriale, causano la povertà della nazione e ostacolano la crescita, portando l’imposizione fiscale verso il basso. Una scelta siffatta potrebbe mai avere il gradimento, nell’esercizio delle rispettive funzioni, del nostro Super-Mario e del manager Equitalia, Befera? Dicevamo della spinta della religione, che ha perso mordente nella elevazione del livello etico generale, nonostante la paura della morte come deterrente. Farmaco e ricette di un vecchio passato in archivio. Adesso c’è chi teorizza la rete telematica come paradossale surrogato di un nuovo “entusiasmo mistico”, senza chiese, ma con schiere di fedeli e nuovi profeti della “rivoluzione digitale”. Siamo all'”alveare tecnologico” dei nostri tempi, che dovrà imparare a “godere dei conforti più sofi sticati”, ma anche “a sottomettersi agli inconvenienti che nessun governo o società sulla terra sarà capace di correggere o porvi rimedio”. A cominciare dalle guerre, che portano distruzione, ma poi anche una grande rinascita. Intanto, provati e disorientati, fra cadute e risalite, saremmo a volte tentati di fermare tutto. Per scendere e dire basta al fardello di insuccessi e rinascite, ambizioni e conquiste, schiavitù e soddisfazioni, aggressioni e vittorie. Mentre la ruota gira, come sempre, con le regole della vecchia favola di Mandeville e nessuno sa fermarla. Ma sarebbe drammaticamente peggio, lasciando che tutto crolli.