UN AMORE MALATO

amoremalato“Questo è il paradosso dell’amore tra un uomo ed una donna: due infiniti si incontrano con due limiti”.

(Rainer Maria Rilke in Elegie duinesi)

La citazione riportata all’inizio di questo articolo suggerisce che la estrema complessità di ogni individuo deve limitarsi quando si trova in un rapporto di amore: ogni persona, all’interno di una relazione sentimentale, deve entrare in contatto, necessariamente, con i propri limiti e con quelli dell’altro. Nel suo libro “L’arte di amare” lo psicoanalista Erich Fromm descrive l’amore come un sentimento nobile che, per essere vissuto serenamente nella relazione, necessita di saggezza, umiltà, coraggio, rispetto dell’altro, qualità che si apprendono e si modificano nel tempo. E’ proprio “nei nostri tempi” che ci troviamo ad ascoltare atroci epiloghi, tanto da dover coniare il termine “femminicidio” e costringere lo Stato ad intervenire con la sua funzione legislativa. La violenza in un rapporto sentimentale spesso riguarda quell’amore che travalica i limiti, disconosce ed offende il rispetto dell’altro; a volte la violenza diventa così distruttiva da spingere un uomo ad aggredire (o anche ad uccidere) la propria partner. Quando parliamo di limiti e di regole troviamo nella nostra società, ohimè, un pallido modello al quale ispirarci; inoltre obiettivi personali di status economico, sociale e lavorativo mettono in ombra valori molto più importanti, come la solidarietà, la collaborazione e, perché no, anche l’amore. In questo “gioco sociale” un individuo può rimanere “bloccato” mostrando debolezza di fronte a profonde realtà come l’amare. In questo l’uomo, più della donna, si trova a sorreggere la propria “identità sociale” su realtà prestazionali di status lavorativo – economico e molto meno su valori relazionali ed emotivi. Adoperandoci in una riflessione che ci allontana dal tema trattato: questa confusione tra identità professionale ed identità personale potrebbe spiegare il tremendo fenomeno dei suicidi spinti (non causati) dalla crisi economica che hanno, come protagonista, sempre il genere maschile quasi mai quello femminile. La problematica della violenza di genere affonda profonde radici nella storia di vita del soggetto ma, in questa società dove tutto si può comprare e quindi possedere, l’aggressione nei confronti delle donne sembra essere più frequente. Un rifiuto della partner, per esempio, può rompere l’illusione di proprietà che l’uomo coltivava nei confronti della donna così da provocare un’angoscia agìta come violenza distruttiva. La frase “siccome mi hai lasciato, io ti odio e quindi ti uccido!!!” a mio avviso non è adeguata a descrivere questa problematica perché il sentimento di odio è comunque un legame che il femminicida non arriva a percepire. Credo, infatti, che sarebbe più adatto questo pensiero: “siccome tu mi appartieni, non puoi lasciarmi ed allora io ti uccido”; questa seconda accezione non contempla legami, non esiste rapporto, ma un possesso egemone nei confronti di un oggetto. In tutto questo, perché la vittima non sempre si ribella? non fugge? In alcuni casi può accadere che, le donne maltrattate dal partner, scambino l’essere trattate come “proprietà” per quella forma di amore che hanno tanto sognato: unico ed irraggiungibile e che, proprio per la sua grandezza, ha delle tinte fosche. Alla base, di questo passaggio, potrebbe esserci una forma di idealizzazione. Nella mia pratica di psicoterapeuta ho imparato che, quando si idealizza qualcosa, si sta anche affermando la sua non realizzabilità. Un amore ideale è un amore che non esiste e che spesso nasconde quel bisogno infantile rimasto nella mente mai appagato. E’ un amore che non può entrare a patti con i limiti della realtà perché si tratta di una fantasia inconscia (buona o cattiva) che si ri-attualizza in un rapporto dannoso e in alcuni casi letale. Ci troviamo così di fronte a due diverse “impossibilità del limite” che entrano in contatto tra loro: l’incapacità del carnefice di mettere da parte la sua onnipotenza e l’impossibilità della vittima di prendere contatto con la realtà dei fatti. In un “amore malato”, esiste spesso questa “collusione” fra i due partner: l’accordo inconsapevole per cui ognuno soddisfa i bisogni malati dell’altro. Nel mio lavoro quotidiano mi sono trovato spesso ad ascoltare le parole “questo amore mi salverà !! “. A mio avviso, immaginare un rapporto sentimentale con un valore salvifico rischia di mistificare la realtà di un legame d’amore. Per “salvarsi” bisognerebbe fermarsi e cercare di capire cosa sta accadendo, cercare di comprendere quanto un desiderio di amore non sorretto dalla realtà rischia di creare le basi per un futuro infelice. In questi casi è necessario vincere le difficoltà e “denunciare” il proprio partner alla autorità competenti. Farsi aiutare da qualcuno può servire in questo travagliato percorso ma senza pensare di essere salvati !!! perché alla fine è sempre con le proprie forze, che ci si può salvare.

Di Daniele La Licata – Psicologo-psicoterapeuta