STORIE DI GIOVANI ITALIANI (E ABRUZZESI) A PERTH

perth-skip-binsDal nostro “inviato speciale” uno sguardo privilegiato sull’Australia.

Voci. Mille voci che affiorano, si intrecciano, si confondono. E solo dopo si capiscono realmente. Mille voci italiane di Perth, capitale dell’Australia Occidentale, ‘il posto dei sogni’, secondo un manifesto pubblicitario che campeggia su uno degli edifici più imponenti. La città che detiene il record di numero di milionari per abitanti. Un luogo reale dove le

idee possono davvero tramutare in un business di successo. Due mesi qui per guardare oltre l’oceano e vedere cosa la vita può regalare, alle soglie dei trent’anni. Voci, speranze che rimandano ad un futuro migliore. Questo è uno spaccato della nuova emigrazione italiana. Sono oltre 50mila i giovani connazionali tra i 22 e i 30 anni che lasciano il nostro Paese per trasferirsi in questo immenso continente di opportunità ed il numero, secondo le fonti governative australiane divulgate sui giornali locali, è in forte crescita. Una cifra spaventosa, a ben guardare. Come se in Italia, ogni anno, una cittadina come Teramo smettesse di respirare e si spegnesse. Una fotografia dei tempi davvero amara. I giovani abbandonano le loro speranze in terra natia e le riversano altrove, dove il lavoro, la stabilità, le prospettive future, non sono solo uno slogan da cartolina. “Sono qui da poco più di sei mesi e con la ferma intenzione di rimanerci – ammette Francesco, 27enne romano, dj di musica underground e laureato in Scienze Politiche con 110 e lode-. Ora lavoro presso un’azienda di smaltimento rifi uti di Perth, in attesa di ottenere il prolungamento del mio permesso di soggiorno. Sono andato via dalla mia amata città dopo aver trascorso l’ultimo anno in cerca di una sistemazione, rimpallato come una pallina da flipper da un’agenzia di lavoro all’altra. Avevo trovato un posto come cassiere in un supermercato vicino casa mia ma all’ultimo, guarda il caso, mi è stato soffi ato da una parente del titolare. Qui ho trovato lavoro dopo appena due settimane, seppur sbattendomi parecchio, e ora non voglio andare più via”. Perth, in particolare, è una vera e propria colonia di abruzzesi, soprattutto originari della provincia di Chieti. In un laboratorio che confeziona formaggi di esportazione lavora da un mese Nicola, 32enne di Silvi Marina. E’ arrivato qui con altri tre ragazzi del teramano e ha trovato lavoro al primo colloquio, con un contratto di sei mesi. “Sono un perito informatico – racconta – e sono qui soprattutto per apprendere la lingua e cercare lavoro nel mio settore, qui molto richiesto. Inutile specifi care che dalle mie parti lavoravo in un importante studio, senza contratto e a 500 euro al mese. Solo di benzina, per andare a lavoro, ne spendevo quasi 200. Poi ho detto basta: preferisco giocarmi questa chance che gettare, come stavo facendo, i miei anni più belli”. “L’Italia è messa male, meglio guardarsi attorno”, è un pensiero pericoloso ricorrente, tra i nuovi emigranti. Dello stesso parere è Stefano, 29 anni di Bergamo. Ora lavora come commesso in un importante shop di Prada situato a ridosso dei grattacieli della City, nel traffi co delle Lamborghini di passaggio. “Qui in una settimana guadagno tanto quanto un mese e mezzo quello che guadagnavo dalle mie parti. Come avrei potuto rifi utare? Vivo qui con la mia ragazza e spero tanto di continuare la mia salita verso la realizzazione professionale. Parlo quattro lingue, ho un master in comunicazione alle spalle ma sinceramente, avessi preso prima questa decisione di trasferirmi, avrei guadagnato solo del tempo prezioso”. Sfatiamo il mito che il clientelismo sia una prerogativa esclusivamente italiana. Anche in Australia se hai i tuoi santi in paradiso puoi inserirti saltando la fila. La differenza è che, se non li hai, puoi rivolgerti agli sportelli delle agenzie del lavoro e trovarlo ugualmente. In questo paese così distante territorialmente e culturalmente da noi, chi sa vendere cara la pelle, trova pane per i suoi denti. Lo sanno bene tutti coloro che sono venuti qui 30 o 40 anni fa e che in questo sconf nato Paese hanno concretizzato le proprie aspettative di vita. Voci italiane che si esprimono in un balletto continuo tra slang locale e dialetto originario. Voci che narrano storie come non se ne vedremmo al cinema. Una su tutte quella di Camillo, proprietario terriero di 68 anni originario di Pescara. Lui arrivò qui nel lontano 1963 in nave, insieme a molti altri, per cercare il fratello maggiore, partito appena un due anni prima per andare a lavorare nelle grandi farm boschive a ridosso della città. “Salpai con in tasca solo poche lire, nella speranza di ritrovarlo. Non avevo un indirizzo, nulla. Sapevo solo che era qui. La mia partita con la sorte iniziò subito, quando puntai tutti miei averi – irresponsabile ragazzino – in una mano poker. E vinsi. Con quella cifra enorme riuscii a vivere qui per sei mesi, trovare lavoro e poi mio fratello. Da allora molto è cambiato. Gli italiani che originariamente venivano chiamati ‘dingo’ (cani), ora sono uno dei motori pulsanti di questa florida economia e godono del rispetto di questa società. Se solo ci rendessimo conto di chi siamo davvero… Noi siamo e rimarremo un grande popolo. Dobbiamo solo continuare a crederlo”. Solo alcune voci ad alimentare un oceano di speranza grande come quello che si presenta davanti agli occhi di questi nuovi emigranti, figli in fuga dei tempi che corrono.