STORIE DENTRO LE MURA

«La confusione e lo smarrimento nella sua mente aumentarono, trovò nuovi visi, tanti, molto più smarriti di lei, nuove voci, nuove regole a cui adeguarsi, che andassero bene o meno poco importava. Trovò una nuova vita.»

 

Quel giorno per Rosa, era il più felice della sua vita. Con il suo abito bianco le sembrava di essere una di quelle principesse delle favole che le raccontavano da bambina.

Gli occhi di Renato che la guardavano pieni d’amore le facevano già immaginare la sua nuova vita, con la persona che amava. Sarebbero stati felicissimi! C’era una casa nuova che li aspettava, e che presto si sarebbe riempita delle grida dei loro bambini. Tutto questo le faceva godere ancora di più della festa del suo matrimonio e le sue risa riempivano il cuore mentre danzava abbracciata al suo Renato.
La tenerezza della sua prima notte di nozze l’accompagnò quotidianamente nei nove mesi che precedettero la nascita di Giuliana, la sua prima bambina. Rosa e Renato erano al settimo cielo! Giuliana era un sogno…la bambina più bella del mondo! E loro sarebbero stati due genitori perfetti.

Dopo qualche tempo, arrivò la seconda gioia della casa: Paolo. Un bel maschietto tutto pepe e sorrisi! Stavolta però il lieto evento venne of uscato da una strana reazione di Rosa: piangeva per un niente, era nervosa, non voleva essere toccata, dormiva pochissimo, spesso era confusa, ma la cosa che più impensierva Renato era che Rosa rifi utava di accudire i bambini. Aveva una specie di insofferenza mista ad indolenza nell’occcuparsi di loro, che poi esplodeva quando i bimbi diventavano capricciosi. Insomma si era ammalata di depressione post partum.

A quel tempo non c’erano farmaci o terapie psicologiche adeguate, e nemmeno la diagnosi fu così chiara, tanto
che non le venne data alcuna cura.
 Il problema però divenne insostenibile quando di lì a poco, il piccolo Paolo a seguito di una malattia morì. Il dolore fu grande per tutta la famiglia, ma in Rosa la perdita del fi glio causò una profonda rottura con il mondo e la depressione si acuì.
A quel punto per lei si aprirono le porte dell’Ospedale Psichiatrico. La confusione e lo smarrimento nella sua mente aumentarono, trovò nuovi visi, tanti, molto più smarriti di lei, nuove voci, nuove regole a cui adeguarsi, che
andassero bene o meno poco importava.

Trovò una nuova vita. Le notti diventarono sempre più insonni, ma lì non ci si poteva alzare per passeggiare, per bere, per mangiare qualcosa o per cercare un volto amico.
Lì si trovava sola con se stessa o con quello che di essa rimaneva.
In manicomio i pazienti meno problematici e violenti potevano lavorare nelle botteghe della struttura, in cucina o in lavanderia, e siccome Rosa era una donna tranquilla, venne assegnata proprio alla lavanderia: con i macchinari in
dotazione i pazienti, lavavano, stiravano, piegavano e sterilizzavano lenzuola, coperte, asciugamani e vestiti.
Passò lì dentro buona parte della sua vita, fi nchè dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici, venne trasferita in una comunità alloggio. Tutto ricominciava da capo: un nuovo ambiente, poche persone con cui condividerlo e nuove regole da rispettare.

Un ambiente familiare, dove poter ritrovare forse un po’ di calore e dei sorrisi; ma Rosa riconosceva ancora quella sensazione di casa e di focolare domestico?
Quando venne trasferita in manicomio a Giuliana, sua fi glia, venne fatto credere che la madre era morta di malattia. La bambina crebbe così con l’af etto del padre e dei suoi famigliari, fi nchè diventata una giovane donna, si innamorò di un ragazzo Michele, e dopo qualche anno di fi danzamento decisero di sposarsi.
A questo punto della storia però, accadde qualcosa di imprevedibile: mentre Giuliana preparava i documenti per il matrimonio scoprì che la madre non era morta. Mio Dio che sgomento!
Un tuffo al cuore così violento e così profondo da far restare senza fiato!
E che rabbia nei confronti di suo padre e di tutti coloro che le avevano taciuto la verità!
Dopo una violenta discussione con Renato, che tentava di spiegarle che lo aveva fatto per il suo bene, perchè credeva che sarebbe stato più facile per lei accettare la morte della madre che il fatto che fosse rinchiusa in un Ospedale Psichiatrico, Giuliana si mise alla sua ricerca. Nel frattempo si sposò. L’aiuto di Michele fu fondamentale per la sua ricerca, la incoraggiava e la sorreggeva quando falliva.
Fino a quando dopo tanto cercare la trovò. Tutti quei mesi di attesa…..finalmente! Non resisteva più dal desiderio di vederla, era ansiosa di guardarla, di toccarla! ….la sua mamma!
Il giorno che si recarono alla casa famiglia il cuore traballava pieno di emozioni: ce n’erano così tante insieme nel suo cuore che non sapeva nemmeno distinguerle. La psicologa che li accompagnava, li aveva avvertiti di essere molto
cauti nel mostrare le emozioni e di non rimanere male di fronte ad eventuali reazioni non positive di Rosa, ma Giuliana in cuor suo sperava proprio di poter abbracciare con calore la sua mamma. Ma quello che accadde fu qualcosa che lei non avrebbe nemmeno lontanamente sospettato. Il vuoto.
Quando lei le si presentò davanti per dirle: “Eccomi, sono la tua bambina!” Rosa non riconobbe la figlia.
E nemmeno mostrò la minima emozione a sentire quelle parole, nel suo cuore e nella sua mente quella figlia semplicemente non c’era e non c’era mai stata.
Davanti a quegli occhi c’era il vuoto.

Gli anni trascorsi in Ospedale psichiatrico avevano cancellato ogni ricordo, ogni emozione, ogni essenza di vita, anche quella di madre. Giuliana non potè far altro che guardarla, con le braccia che pendevano lungo i fianchi e le lacrime che calde scendevano dalle guance.

Il braccio di Michele che le circondava la vita quasi non bastava a sorreggerla, tanto si sentiva venir meno. Iniziò
così un lungo percorso di visite periodiche a sua madre, e di conoscenza di quella donna a cui piaceva piegare i panni e che si alzava di notte, perchè non dormiva.
Ma gli occhi di Rosa non si illuminarono mai del calore di madre e mai uno spiraglio di luce del ricordo di essere mamma attraversò quella mente.

PrimaPagina edizione gennaio 2015 – di Anna De Carolis