Ma non è una storia d’amore

Ma non è una storia di amoreQuesta è la storia di un lui e di una lei, ma vale la pena chiarirlo subito, non è una storia d’amore. Era una domenica d’ inverno e come al solito a Roma pioveva senza sosta. Erica, giovanissima studentessa universitaria teramana, guardava fuori dal finestrino del pullman, pensando che in fondo era stata via solo per il fine settimana, eppure quella

vita frenetica le era mancata tanto. L’ora di cena era già passata, ma sulla Tiburtina il traffico continuava a rumoreggiare; lunghe file di auto bloccate da un semaforo rosso. Alcuni passanti camminavano frettolosi ai bordi della via, altri svogliati, altri ancora si fermavano davanti a cartelloni  luminosi della pubblicità. Arrivata alla stazione, come d’abitudine, accese una sigaretta e rimase accanto alla fermata aspettando che Luca, il suo ragazzo, la venisse a prendere. Una giornata come tante altre, che volgeva al termine, passando inosservata. Ma qualcosa andò storto… All’improvviso davanti a lei si fermò un uomo: difficile dimenticare quello sguardo bramoso,  quell’odore,quelle mani cosi pesanti, la pioggia che le bagnava il viso. Cosi racconta il suo  dramma: “Ero cosi spaventata che rimasi immobile; infettava ogni parte del mio corpo con le sue impronte, piangevo in silenzio. Non parlavo con Dio da circa dieci anni, ma in quel momento lo pregai di farmi rivedere i miei genitori. Iniziò a colpirmi con violenza. .. per un attimo pensai di morire. Avevo completamente perso lucidità, tanto da non sentire dolore.” Non ricorda bene cosa fece scappare il maniaco, forse delle voci o la vista di una volante della polizia. Era salva.  Fisicamente. Ma parte della sua anima era morta in quel preciso istante, soffocata dalle luride mani di quell’uomo. Restò in silenzio, tornò a casa e giurò a se stessa che avrebbe custodito quel terribile segreto. Nei mesi seguenti cercò di reagire in tutti i modi, inizialmente anche con il sostegno di uno psicologo. Voleva dimenticare, reprimere il dolore, la vergogna, la rabbia e continuare normalmente la sua vita. Passavano i giorni, svanivano le certezze in cui aveva sempre  creduto, ogni punto di riferimento era smarrito. Tanta solitudine, voglia di scappare lontano per ricominciare una nuova vita. Lasciò Roma, il suo ragazzo,  accantonò gli studi, trascurò le amicizie più care, creò un rapporto confl ittuale con i suoi genitori. Avrebbe voluto urlare al mondo intero il suo disagio, ma uno  strano pudore le impediva di farlo. Senza contare la paura di far soffrire e di sconvolgere le vite di chi le stava attorno. Unico rimedio, il tempo. La strada  percorsa è stata lunga e non senza ostacoli, ma oggi Erica non ha più paura del buio, e soprattutto ha cancellato per sempre dal suo vocabolario la parola  rassegnazione. Dopo quasi due anni, ha finalmente ripreso il controllo della vita,  scegliendo di tornare a sorridere. E quando le chiedono dove abbia trovato la  forza lei risponde cosi: “Basta leggere la cronaca sui giornali per capire cosa vuol dire essere donna oggi. Ho portato avanti la mia battaglia in nome di tutte noi,  che siamo fragili, indifese, incomprese, ma abbiamo nel petto un cuore grande,  gonfio di coraggio e pieno d’amore.” Poi si gira commossa verso il suo “nuovo” lui, lo chiama il suo “angelo custode in carne ed ossa”. Ed è veramente un’altra storia.