Teramo che fu: il Teatro Comunale

Teramo che fu: il Teatro ComunaleLe foto straordinarie del “fondo Beltrame”, oggi proprietà della Biblioteca Provinciale Melchiorre Delfico hanno ereditato per noi le immagini e la memoria storica dell’antico teatro comunale che per decenni ha rappresentato il cuore della cultura cittadina. Giancarlo Beltrame, giornalista e docente di Storia e tecnica della comunicazione per l’immagine ebbe l’occasione inaspettata di scoprire ben 77 magnifiche vedute riguardanti la città di Teramo e i territori limitrofi della provincia scattate con la macchina fotografica stereoscopica

dal primo e più antico fotografo professionista teramano, uno dei primi fotoreporter della storia della fotografia italiana: Gianfrancesco Nardi (1833-1903). Le “Stereoviews” documentano il teatro ottocentesco di Teramo, inizialmente denominato “Teatro Re” probabilmente in riferimento al fatto che i lavori di realizzazione riuscirono a sbloccarsi solo dopo il compimento dell’Unità Nazionale e la nascita del nuovo Regno d’Italia. Questa struttura fu distrutta nel 1959, a meno di un secolo dalla sua costruzione, per far posto ad un cine-teatro moderno e ai magazzini della Standa, oggi Oviesse. Gianfrancesco Nardi, “pittore di storie e fotografo”, come lo definiva suo padre (il poeta Antonio Nardi) immortala l’ingresso del Corso San Giorgio in una fotografia del 1864-1868 circa, nella quale dietro ai piloni chiamati “Due di coppe”, sul lato destro del Corso si mostra l’edificio del teatro comunale ripreso mentre si stanno ultimando i lavori di costruzione. Esso è seguito dal complesso del Real Collegio, luogo dell’ antico convento di San Matteo, dove lo stesso Gianfrancesco Nardi fu allievo dei Barnabiti. I piloni in primo piano furono progettati da Carlo Forti nel 1812, eretti sul luogo dell’antica Porta San Giorgio e demoliti nel 1826. I vasi sovrastanti furono aggiunti nel 1839 poi trasferiti nella Villa Comunale dove ancora oggi si trovano. La struttura teatrale cittadina fu progettata dall’Architetto teramano Nicola Mezucelli. Dopo il susseguirsi di tante vicende, nell’aprile 1868, il teatro fu solennemente inaugurato con “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi e “Maria di Rohan” di Gaetano Donizetti e due balli: “Il genio malefico” e “Un viaggio in sogno” del coreografo Ettore Barracani. L’architettura esterna, essenziale, sobria e lineare, in pietra fluviale e rivestimento in mattoni, con zoccoli e fronti bugnati, si poneva in antitesi con un interno importante e sontuoso caratterizzato da un ricco soffitto dipinto ed un notevole sipario che rappresentava la scena dell’incoronazione del Petrarca a sommo poeta: opera eseguita da Bernardino De Filippis Delfico, fratello del celebrato poeta, musicista e caricaturista Melchiorre. Proprio il cav. Melchiorre Delfico tornato da Napoli, durante il Carnevale 1877 mise in scena nel teatro di Teramo il melodramma buffo “Il parafulmine”. L’ambiente realizzato a forma di ferro di cavallo aveva una capienza complessiva di 608 posti a sedere. C’erano 56 palchi, disposti su tre ordini. Nella parte più alta un ampio loggione, per il quale fu previsto un biglietto d’ingresso più contenuto. Nella sala al centro della volta era appeso un prezioso lampadario, voluto da Nicola Mezucelli. Si trattava di un’opera particolarmente bella, disegnata da Carlo Ferrario, scenografo della Scala di Milano, e realizzata sempre a Milano dalla ditta Antonio Pandiani, con struttura in ferro dorato e guarnito di cristalli, dotato di sculture femminili sui quattro lati. Al piano superiore, prospiciente il Corso San Giorgio, era presente un appartamento destinato ad abitazione del custode. Nel 1906 questo locale fu radicalmente trasformato e adattato a ridotto del teatro. Nacque così la celebre sala della Cetra, dotata di un suo palcoscenico e di un ampio soppalco. Il piccolo sipario di questa graziosa sala fu dipinto da Gennaro Della Monica con la raffigurazione di Giannina Milli che improvvisa a Firenze.