Stefano Pallotta – L’AQUILA FERITA

Stefano-PallottaPrimaPagina edizione Aprile, 2010 n. 04

di Stefano PallottaPresidente Ordine dei giornalisti d’Abruzzo

L’AQUILA FERITA

No, non è ancora tempo di bilanci. Un anno non basta. Per una tragedia come quella del terremoto dell’Aquila la scansione temporale, forse sì, con la storia e non con la cronaca. I giornalisti, che per definizione sono “storici dell’istante”, si rendono conto che per la ricostruzione dell’Aquila occorrono tempi ragionevoli e proporzionati al livello della devastazione. Una consapevolezza che pervade tutti,

in primo luogo i cittadini. Sanno che un anno o due o tre non saranno sufficienti per restituire alla città il volto e l’identità che riempivano di legittimo orgoglio i suoi abitanti. Nessuno ha tempo o voglia di chiedere a chicchessia la ricostruzione in due-tre anni del centro storico. Le ferite inferte dal sisma sono troppo profonde e devastanti per poterlo pretendere. Uno slogan di altri tempi – tempi che hanno contribuito a portare sul proscenio della storia contemporanea istanze che non avevano mai trovato legittimazione culturale come quelle giovanili – diceva: “Siamo realisti, chiediamo l’impossibile”. La coniugazione di realismo e utopia, come è possibile? Finora abbiamo parlato di “miracolo aquilano” per la velocità con cui lo Stato ha proceduto nella fase emergenziale. Si è parlato di “modello Abruzzo” in termini di Protezione civile; modello da esportare a livello internazionale. L’opinione pubblica nazionale ha introiettato il messaggio dei media che a L’Aquila sia stato fatto quello che andava fatto e anche di più. è tutto vero? A L’Aquila mancano ancora le case per tutti. Migliaia di suoi cittadini vivono ancora a chilometri di distanza dalla città.

Molti hanno fatto la scelta di lasciare, più o meno definitivamente, la città. Il tessuto produttivo e sociale ha subito il colpo ferale dal terremoto, dopo anni di agonia assistita. Migliaia di attività commerciali non esistono di più. L’Aquila, che è una città ferita, avrebbe bisogno di un ceto politico in grado di occuparsi in prima persona della città. Ma non lo ha, e quello che aveva è evaporato con le ultime elezioni provinciali. Di fronte ad un simile scenario, che si contrappone alla virtualità delle rappresentazioni “fattoidali”, solo un progetto che mira alla soluzione di un’equazione teoricamente impossibile può riuscire a restituire agli aquilani la loro città in tempi ragionevoli: non due anni, ma nemmeno dieci o quindici. Solo se i cittadini saranno realisti e riusciranno a chiedere l’impossibile avranno chances per il loro futuro di aquilani. Sarà ricordata come “la storia di un’utopia”, ma nel momento in cui sarà storicizzata non farà più parte dell’immaginazione collettiva.