“INVENTARE L’ABITARE”

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Roma, una protesta in pieno centro di fronte alla sede dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana). Un manipolo di persone urla, mostra cartelli, cerca di fare la voce grossa a quel gigante che ha di fronte. È una scena che si è ripetuta diverse volte negli ultimi tempi e, per una volta, sembra che l’attenzione dei Palazzi sia massima. A protestare, questa volta, è la cooperativa

“Inventare l’abitare” protagonista di intelligenti progetti di recupero del patrimonio immobiliare dismesso. Si parte del civilissimo principio che tutti abbiano diritto ad avere una casa. Recenti indagini (Sunia e Cgil) hanno mostrato come negliultimi dieci anni gli affitti siano cresciuti del 150%, aumentando il rischio di sfratto per insolvenza. La cooperativa “Inventare l’Abitare”, dal canto suo, fa leva sulla legge del Lazio n. 55 del 1998 che tratta propriodell’auto-recupero a fini abitativi. Insieme al Comune sono partiti numerosi progetti fruttuosi, che hanno permesso a moltissimi di trovare una sistemazione di vita, ampiamente alla loro portata. “Purtroppo il Credito Cooperativo (che ha elargito i mutui), su indicazione della Banca d’Italia – segnalano i portavoce della cooperativa – si è tirato indietro in corso d’opera, lasciando scoperti due cantieri e impedendone altri”. Ecco spiegata la rabbia, lo sdegno e la loro giusta delusione. Ne parla l’architetto Elena Maranghi, dottoranda in tecnica urbanistica: “A Roma l’occupazione è ormai una realtà piuttosto consolidata, e la sua evoluzione in processi di auto-recupero, pur non automatica, è comunque possibile. Il problema che la cooperativa affronta con la questione dei mutui apre un altro mondo di cose: la crisi economica, il potere delle banche, ma soprattutto l’enorme debito del Comune di Roma che pone la questione di una crisi dell’autorità stessa del Comune. Una questione complessa, critica…” Il pensiero alla nostra Teramo è stato immediato: anche qui il pericolo è di lì a un passo, dato che lo sviluppo urbano tende a mangiare terreno ovunque, senza freni. Prosegue, a riguardo, Elena Maranghi: “La città non può semplicemente continuare a crescere consumando suolo e producendo prevalentemente patrimonio abitativo cui le persone non riescono ad accedere, tanto meno in un momento come questo in cui le banche non concedono mutui e il lavoro è precario. Occorre che l’urbanistica in primo luogo ma il pubblico in senso lato, ovvero, l’istituzione politica e insieme la società civile, si rendano conto che c’è bisogno di pensare nuovi strumenti per il progetto e la trasformazione della città. L’urbanistica non può più vedersi o essere vista come una disciplina che si occupa della pianificazione del vuoto: l’urbanistica ha oggi a che fare con la città esistente, con le sue caratteristiche, le sue potenzialità e con il suo patrimonio edilizio. La città e l’urbanistica devono ripensare loro stesse partendo da queste considerazioni.”