QUANDO CI AMMALIAMO “DI TERREMOTO”

 Il terremoto ci ha lasciati spiazzati, impotenti, ma quando dobbiamo preoccuparci del nostro stato d’animo?

Chi ha potuto è uscito in strada, cercando di razionalizzare in pochi secondi cosa stava accadendo ed afferrando al volo ciò che poteva servire. Le chiavi, il telefono, un cappotto.

Chi non ha potuto ha cercato un architrave, un tavolo, un letto, o è semplicemente rimasto impietrito lì, nella propria casa, aspettando che finisse.

Un unico pensiero nella mente di tutti, la speranza che la casa resista. Il rifugio, il focolare, che improvvisamente diventa pericolo e tomba.

Il terremoto è l’antitesi di ogni previsione, di ogni controllo, di ogni strategia.

Ed è per questo che è tanto faticoso collocarlo nella psiche e dargli un nome, uno spazio pensabile. Spesso un evento catastrofico come un potente terremoto diventa portatore di profonda paura, di un vuoto senza nome, come un “ordigno fobico” che lascia la mente in allerta. Conosciamo tutti quel terrore post- sisma in cui ogni rombo, ogni scricchiolio, ogni folata di vento vengono interpretati non più come stimoli neutrali ma come pericoli imminenti.

Ma quando dobbiamo preoccuparci del nostro stato d’animo?

Quando dalla ragionevole paura si passa ad un forte stato di stress o ad un disturbo post traumatico? 

La stessa etimologia della parola, dal latino Tràuma,  ferita o lesione, suggerisce il significato di evento che intacca l’integrità del corpo, a livello fisico e psicologico, alterandone lo stato di quiete.

La condizione di stress che segue un terremoto fa parte della “norma”, quantomeno entro certi limiti. Il nostro organismo necessita di una riorganizzazione fisica e psichica ed è chiaro che, dopo una fisiologica reazione di allerta, paura e sintomatologia ansiosa, ciascuno di noi dovrà compiere un percorso di riassestamento dell’equilibrio biopsicosociale e di ripristino della normale routine.

In alcuni casi, tuttavia, possono insorgere rapidamente un insieme di sintomi che configurano veri e propri disturbi.

Il DSM IV- TR (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, edizione 4^) definisce Disturbo Acuto da Stress una condizione clinica caratterizzata da sintomi comprendenti l’evitamento degli stimoli che ricordano il trauma (pensieri, sensazioni, attività, luoghi, persone), l’ansia e/o l’aumentato arousal (difficoltà a dormire e concentrarsi, irritabilità, stato di perenne allarme). Il disturbo, tuttavia, dura da un minimo 2 giorni a massimo 4 settimane e si manifesta entro 30 giorni dall’evento traumatico.

La letteratura scientifica (Bryant et al., 2008) ha mostrato come il Disturbo Acuto da Stress rappresenti un fattore di rischio per un successivo Disturbo Post Traumatico da Stress, il quale avrebbe un’incidenza dell’11% a seguito di un forte terremoto (Molteni, 2009).

Secondo il DSM IV, i criteri per la diagnosi di questo disturbo sono i seguenti:

A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti:

1) la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri

2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore. Nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato.

B. L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:

1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni. Nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma

2) sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento. Nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile

3) agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione). Nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma

4) disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico

5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.

C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:

1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma

2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma

3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma

4) riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative

5) sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri

6) affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore)

7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita). 

D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi:

1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno
2) irritabilità o scoppi di collera
3) difficoltà a concentrarsi
4) ipervigilanza
5) esagerate risposte di allarme.

E. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese.

F. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.

Il DPTS può definirsi “acuto” se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi, “cronico” se la durata dei sintomi è 3 mesi o più.

In questo caso, la persona deve essere aiutata da un professionista nella Psicologia del Trauma e dell’emergenza, al fine di elaborare l’evento catastrofico e recuperare un equilibrio cognitivo ed emotivo. Nel 2004 l’American Psychiatric Association ha definito l’EMDR (Eye Movement Desensization and Reprocessing) come terapia d’elezione per quanto riguarda il Disturbo Post Traumatico da Stress. Successivamente, nel 2013, l’OMS l’ha riconosciuto come trattamento efficace per la cura del trauma e dei disturbi ad esso correlati.

Il metodo EMDR interpreta la patologia come esito di un errato percorso cognitivo di immagazzinamento ed elaborazione dell’informazione, in questo caso dell’evento “terremoto”.

Durante le sedute (che possono essere effettuate dopo il trauma o a distanza di tempo) il paziente racconta l’evento, mentre il professionista stimola dei precisi movimenti oculari saccadici: pensare al ricordo traumatico e contemporaneamente attuare determinati movimenti con gli occhi, genera l’effetto di “riprendere” le informazioni contenute nel cervello e sottoporle ad una corretta riprocessazione.

 

Dott.ssa  Daniela Bonfini

Psicologa-Psicoterapeuta

 

Bibliografia e sitografia:

  • American Psychiatric Association, “DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders“, Fourth Edition, Text Revision, Edizione Italiana, Masson, Milano, 2000
  • “Trauma e psicopatologia”, Caretti V e Capraro G, Edizioni Astrolabio, 2008)
  • “Terremoto e stress: conseguenze sulle popolazioni, quali interventi? Dalla distruzione alla ricostruzione: defusing, debriefing ed EMDR” (Irene Bellodi, su www.humantrainer.com)
  • “Implicazioni psicosociali di un disastro naturale: uno studio sul terremoto dell’Abruzzo”, Marzia Molteni, Rivista di Psicologia dell’emergenza e dell’Assistenza Umanitaria n° 5, 2011.
  • www.emdr.it
  • www.istitutobeck.com