In attesa di giustizia

biscelgliaGiustizia. La pretendono i familiari di Adele Mazza- la donna brutalmente assassinata e poi fatta a pezzi il 6 aprile dello scorso anno- alla vigilia del processo che  non ha eguali nella storia giuridica teramana degli ultimi cinquant’anni. Sul banco degli imputati Romano Bisceglia, il grande accusato. Per l’opinione pubblica, il  “mostro”. Strangolò ferocemente la vittima nel suo appartamento popolare di via Tordino e poi la sezionò in cinque parti,

avvolte in tre buste di plastica,  gettandone, poi, i resti lungo una scarpata di via Franchi, periferia teramana. Un personaggio, quello del 54enne teramano, ancora da decifrare nella sua  interezza, ma che ha sempre fatto paura a chi lo ha conosciuto, ben oltre la sua immagine apparentemente trascurata e l’andatura claudicante. Un uomo che ha vissuto gran parte della sua esistenza fl uttuando nello squallore della tossicodipendenza e del ricatto, dell’estorsione e dello sfruttamento della prostituzione, e  che ha spinto il suo profondo buio interiore fi n oltre quel confine invalicabile della dignità dell’essere.  Oltre l’omicidio, fi no allo scempio. Un atto che a più di  qualcuno lascia il beneficio del dubbio, ipotizzando che Bisceglia non abbia agito da solo. La dinamica dei fatti, dal sezionamento del corpo al trasporto, sembrerebbe troppo per un uomo dalle precarie condizioni fi siche, ed apre tuttora all’ipotesi inquietante di un complice a piede libero. Costui, del quale  l’imputato si fidava ciecamente, potrebbe averlo aiutato,  disfacendosi dei resti del cadavere e poi dell’arma del delitto, mai ritrovata, confidando in un assoluto silenzio. Una figura che per le indagini della Procura della Repubblica, per la pubblica accusa del procuratore capo Gabriele Ferretti e del pm Roberta D’Avolio  non è però mai esistita. Dopo essere stato rinviato a giudizio in Corte d’Assise, il 13 maggio prossimo sarà dunque il solo “mostro” riconosciuto a professare la  propria innocenza, più volte rivendicata prima durante l’iniziale reclusione nel carcere di Castrogno e poi in quello di Chieti, dinnanzi ad accuse pesanti: omicidio  volontario, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere, oltre che sfruttamento della prostituzione. Colpe che se gli fossero riconosciute, signifi cherebbero per il 54enne condanna al carcere a vita. A tentare di riscrivere un finale per molti già scontato la difesa dell’avvocato Barbara Castiglione, che cercherà di smontare ogni singolo passaggio delle oltre 2500 pagine del dossier presentato dalla pubblica accusa, sostenuta in fase processuale dall’avvocato Gennaro  Lettieri, legale della famiglia della vittima, costituitasi parte civile. Punto cardine dell’accusa le tracce ematiche che i Ris trovarono nella vasca da bagno  dell’abitazione di Bisceglia e su una sua scarpa – il cui Dna è compatibile con quello di Adele Mazza – in aggiunta a quelle trovate sul nastro adesivo usato per  sigillare una delle buste con i resti della donna compatibili invece con il Dna dell’imputato. Prove che si scontreranno con la richiesta di proscioglimento dell’uomo  inoltrata dalla difesa in udienza preliminare. Secondo l’avvocato Castiglione, infatti, le compatibilità ematiche sarebbero ancora tutte da dimostrare. Uno scontro  tra le parti che potrebbe riservare qualche colpo di scena, se si considera che sarebbero circa una settantina i testimoni che l’accusa potrebbe convocare in  dibattimento. Tra gli altri, quella di un compagno di cella di Romano Bisceglia, durante i giorni successivi all’arresto, che in una deposizione avrebbe rivelato di  aver ascoltato dallo stesso imputato una confessione di colpevolezza per l’omicidio della sua ex compagna. Il processo, al di là delle strategie, si spera possa  fare luce su un episodio di cronaca difficilmente dimenticabile, restituendo alla  fine di tutto una doverosa giustizia.