“Lasciamo almeno la speranza ai giovani”

Castello Della MonicaHo letto con attenzione e interesse l’intervista all’avv. Walter Mazzitti: “Non ti riconosco più”. Già il titolo lascia presagire il contenuto che, pur fondato su dati reali, appare troppo pessimistico. Io non vivo a Teramo, ma seguo con una certa partecipazione gli eventi della provincia e, particolarmente, del capoluogo. Ho appena presieduto una commissione degli Esami di Stato in un Istituto teramano, ebbene gli studenti mi hanno fatto intravedere passione e fiducia verso il futuro. Se noi, ogni giorno, bombardiamo il territorio con visioni horror, non vedremo mai sbocciare un sorriso sul viso di qualcuno. Non è il sorriso in sé che bisogna diffondere, poiché, come si diceva in romanesco antico, risus abundat in ore stultorum, mail significato di quel lampo che squarcia le tenebre della notte e lascia al naufrago la speranza di raggiungere la riva, riacquistare le forze e ripartire. I problemi affrontati nell’intervista sono molti, seri, importanti e coinvolgenti. Capisco che vedere il proprio paese perdere lo smalto di una volta fa male, però è anche molto triste una sentenza simile: “non c’è possibilità di recupero”! Il tempo, invece, che “con sue fredde alevi spazza fin le rovine”, renderà giustizia degli errori passati. Lasciamo in eredità ai giovani almeno la speranza di lavorare per il futuro. Bisogna contare e investire molto sui giovani. È vero che l’università non garantisce più il lavoro, ma senza università il lavoro diventa miraggio. In quanto alla politica, un’analisi più approfondita va fatta. I vecchi partiti politici, allora nuovi, hanno ricostruito lo Stato dalle macerie del secondo conflitto mondiale e dal ventennio di dittatura, riaggregando la Nazione e dando consapevolezza e coscienza civile ad ogni cittadino. Oggi c’è bisogno di una scossa simile: nuove formazioni politiche che abbiano il coraggio di abbattere il vecchiume e di edificare il nuovo. Per fare ciò occorre credere nei giovani: non basta presentare all’università un problema o coinvolgerli su di una tematica. Bisogna cominciare prima, dalla scuola secondaria di I e di II grado, poiché, contrariamente a quanto si possa credere, questi ultimi vivono il territorio, sentono i problemi e, se adeguatamente informati, hanno facoltà di educare gli adulti al nuovo. Gli universitari, invece, vivono spesso goliardicamente, sono fuori sede e, pertanto, non hanno a cuore i problemi del posto, o pensano solo ai propri interessi immediati. Un’ultima osservazione mi spinge a considerare e a riflettere sull’autonomia dell’Università teramana. Forse i tempi erano più che maturi per tale evento e credo sia stata cosa buona e giusta. L’errore, invece, sta tutto nel fatto che l’Università è risultata molto staccata dal territorio. Si pensi, per un attimo, alle grandi opportunità avute con lo sviluppo enorme e straordinario della Val Vibrata e della costa teramana. Come docente in un liceo di provincia, insieme con altri colleghi, percepivo il divario tra lo sviluppo economico del territorio e quello culturale. Da qui la necessità di fare di quel liceo un vero polo di promozione e di sviluppo culturale e sociale e di rivalutazione dei beni storici, artistici e dell’artigianato locale. Là dove non arrivava l’università, si sfruttavano tutte le risorse umane e materiali disponibili. Il liceo scientifico di Nereto è nato proprio da questa esigenza; il liceo linguistico dallo sviluppo turistico della costa e dalle richieste dell’associazione degli albergatori. Lavorare in sinergia rende: allora, si faccia pure il mea culpa, ma non si resti solo con il capo cosparso di cenere.