Perdere competitività: il modello italiano

Ci si chiede, sempre più spesso, cosa fare per rendere le nostre imprese più competitive. Attualmente il dito è puntato sul  cuneo fiscale legato al costo del lavoro e sulla elevata pressione fiscale, ma questi due aspetti  non possono aver determinato

il declino delle imprese italiane avuto nel tempo e acuitosi con la recessione. Così guardiamo alle riforme dello  Stato come la soluzione a tutti i mali delle imprese, dimenticandoci invece di cosa dovremmo iniziare a fare immediatamente,  al fi ne di invertire questa rotta che sta sgretolando inesorabilmente il nostro tessuto imprenditoriale. L’intervento sul cuneo  fi scale apporterà vantaggi ai lavoratori, ma non renderà più competitiva l’impresa, mentre la riduzione di qualche punto  percentuale di IRES e/o IRAP non potrà fare miracoli sul fronte della competitività. In realtà il vero e grosso punto debole  delle piccole e medie imprese è da sempre stato costituito dalle scarse risorse da dedicare alla formazione, alla ricerca e  all’innovazione. Studi recenti indicano che in Italia la spesa per ricerca e sviluppo incide l’1,3% in rapporto al PIL, in Germania  questo dato è pari al 2,8%, mentre l’Eurozona mostra un valore dell’1,9%. Se non costruiamo il futuro oggi, ma pensiamo  solo al presente, difficilmente potremo competere. Dal  momento in cui, per carenza di risorse finanziarie, molte PMI non  innovano più da diversi anni, tale ritardo accumulato sta costando molto caro. Chi gira per le aziende percepisce bene queste cose: da una parte l’imprenditore, sempre più preso dagli eventi quotidiani (pagamenti, incassi…), dall’altra parte i  commercialisti, che non riescono più a tenere il passo alle continue novità in materia fi scale. Quando il commercialista  incontra l’imprenditore si parla quasi esclusivamente di bilancio e di conti in rosso o delle novità in materia legislativa. Ma chi  pensa all’azienda in termini di competitività? Le imprese sono fatte di presente ma soprattutto sono il frutto di decisioni prese in passato. Se non facciamo più ricerca su nuovi potenziali mercati di sbocco o non abbiamo mai considerato l’idea di  diversifi care il business al fi ne di incrementare il fatturato, se non abbiamo mai vagliato le potenziali opportunità offerte da  alleanze strategiche o reti d’impresa, o l’idea di introdurre un sistema CRM per meglio gestire le esigenze sempre più  complesse dei clienti, se non facciamo formazione puntando alla qualità delle prestazioni, se non pianifi chiamo una corretta  gestione del portafoglio prodotti in base agli specifi ci cicli di vita, se non monitoriamo costantemente le nostre performance  al fine di migliorarci, attuando magari modelli di core activities o  non abbiamo mai preso in considerazione un piano di  turnaround (ovvero se non siamo in grado di pianifi care e monitorare le attività strategiche necessarie per essere  competitivi al mondo d’oggi), diffi cilmente avremo un futuro. Lavoreremo barcamenandoci in espedienti che ci illudono di  trovare le corrette soluzioni, ma solo temporanee e facilmente sgretolabili. Il vecchio adagio caro a noi italiani “tira oggi che  viene domani” non funziona più già da tempo, in una arena ipercompetitiva dove è difficile sopravvivere con soluzioni  tampone e diventa necessario costruirsi consolidati plus munendosi di adeguati strumenti di controllo. Le risorse finanziarie  per portare avanti queste attività possono essere attinte da svariati fondi gratuiti esistenti (Fondimpresa in primis) che  permettono di avere formazione qualificata ed affiancamento manageriale  a costo zero per l’impresa. Quando utilizzati, tali  fondi vengono però veicolati per “corso per squadre antincendio” o “pronto soccorso”, carrellisti, oppure ISO9001,  ISO14001 trascurando il fatto che, molto probabilmente, con le imprese che chiudono, ai carrellisti non servirà nessun  attestato e non servirà dimostrare a nessuno che si stava lavorando a tutela dell’ambiente. Probabilmente quello che oggi  sta mancando davvero alle nostre piccole e medie imprese è una sana e corretta cultura d’impresa che ne permetta la  crescita e nel contempo ne incrementi la competitività in modo da sopravvivere in un mercato globalizzato. Ma essa deve  essere introdotta in maniera pratica, apportando soluzioni concrete ai problemi imminenti, altrimenti resta uno sterile scambio di vedute. Forse la fonte del problema consiste proprio nel dare agli imprenditori quelle leve, quegli strumenti che diano la possibilità di rivedere la propria impresa in ottica strategica, oltre che operativa.  

PrimaPagina edizione Giugno 2014 – di Luciano Cipolletti