Arturo Valiante è ormai un nome di rilievo della musica italiana. Magari di te non si parla molto, ma la tua presenza è di spessore. A Sanremo, per esempio, eri lì a fari spenti eppure hai regalato degli splendidi momenti artistici… cosa puoi raccontarci di questo? Posso dire che è successo tutto in pochi minuti. Rocco Papaleo, con cui sono in tour a teatro in “Una piccola impresa meridionale”, mi ha chiamato all’ultimo chiedendomi se
potevo raggiungerlo. Panico. In un’ora ho fatto i bagagli ed ero in viaggio. La sua idea era quella di proporre dei monologhi e canzoni sul palco dell’Ariston confidando nel nostro affiatamento. Da lì, giorno dopo giorno, abbiamo messo un mattoncino per volta e poi Rocco mi ha valorizzato presentandomi come d’altronde fa nello spettacolo dove ogni musicista ha la sua storia. Sanremo è stato investito dalle polemiche, come sempre e come sempre ha dato l’idea di un carrozzone portato avanti a forza. Eppure gli italiani sono sempre lì a guardarlo. Come ti è sembrata questa edizione? Soprattutto da un punto di vista artistico… Sanremo è una macchina incredibile. Ci sono professionisti bravissimi (musicisti, tecnici audio e luci, scenografi , costumisti etc.) e spesso questa cosa viene messa in secondo piano da notizie che sono spesso ingigantite per far parlare stampa e addetti ai lavori. Il livello mi è sembrato buono, considerando che non si può pretendere l’avanguardia in una manifestazione che ha sempre un forte connotato popolare. Ognuno ha cercato di dare il meglio e seguendo le prove ho potuto apprezzare la passione e la dedizione degli artisti in gara. E delle polemiche e del gossip? So che è quasi deludente chiedertelo, ma sarebbe interessante capire come hai vissuto l’aspetto più chiacchierato del festival. Senza polemiche e gossip gli argomenti risulterebbero certo di scarso appeal nei confronti del grande pubblico, anche se purtroppo si finisce col parlar poco delle canzoni e dell’aspetto più tecnico della musica e della partecipazione di grandissimi personaggi (meravigliosi Brian May e Patty Smith: che emozione!). Del gossip mi sono interessato poco e ho preferito guardare agli artisti e ai loro messaggi. Anche Celentano mi è piaciuto molto e ho visto che, di tutto, hanno avuto spazio solo le due frasi sulla chiusura dei giornali. Sembrava un messaggio di censura, ma non credo che intendesse davvero quello. Un altro teramano, Enrico Melozzi con Noemi, è arrivato terzo. Ha avuto una grande risonanza, mentre di te si è parlato poco. E’ una cosa che ti ha infastidito oppure, in fondo, va bene così? Dopotutto avete due ruoli molto diversi… Con Enrico siamo amici ed è giusto che lui abbia avuto il suo spazio importante. D’altronde era in gara e ha dovuto sopportare una pressione che io non avevo. È vero poi che abbiamo ruoli diversi ma ci stimiamo molto a vicenda e ci frequentiamo anche a Roma soprattutto con l’esperienza fatta al Teatro Valle. Come artista, come pianista jazz, quali sono adesso i tuoi obiettivi? La passione per la musica per fortuna non ha traguardi ma si può sempre crescere e migliorare. Stiamo portando avanti un progetto con il quartetto Asì, inciso per il “Via Veneto Jazz”, prodotti da Giandomenico Ciaramella. A Giugno suoneremo con lui all’European Jazz Festival di Cagliari. È un appuntamento importante perché gli spazi per far conoscere la propria musica non sono moltissimi. Anche nei locali, dove si dovrebbe sperimentare cose nuove non c’è un gran fermento, ma l’importante è credere in quello che si fa.. io poi non ho preferenze di genere ma mi piace proprio quando posso spaziare in campi diversi. Una volta nel dittatoriale mondo del professionismo si rischia sempre un po’ la routine. Come si può, invece, continuare a migliorare e a crescere anche dopo traguardi così importanti? Lo stile cambia continuamente con la pratica quotidiana e con la frequentazione di persone che influenzano lo scambio. L’interplay è il primo obiettivo con cui mi piace confrontarmi perché ognuno nel suo modo di suonare esprime il suo carattere e lì si impara a farne uno stile. Il cammino è questo. Noto che più vado avanti e più mi piace la sintesi: poche note, la melodia e suonare negli spazi. La musica dal vivo in questo è la palestra più importante. Comunque, se posso, come conclusione, vorrei ringraziare tutti coloro che si sono emozionati (anche un solo un po’) per le mie note suonate sopra un palco così importante. Spero siano stati orgogliosi di me.