IL DIRITTO DI CRITICA GIORNALISTICA

In una sentenza dello scorso marzo, la Corte di Cassazione ha confermato la decisone della Corte d’Appello secondo cui l’espressione “sarebbe meglio una gestione al maschile”, rivolta ad una dirigente di una pubblica struttura, nel corso di un’intervista èdita da un quotidiano, è oggettivamente diffamatoria ed è, da sola, idonea ad affermare la responsabilità

sia dell’intervistato che dell’intervistatore, trattandosi di un suggerimento assolutamente gratuito, sganciato dai fatti e che costituisce una mera valutazione. La pronuncia offre lo spunto per una breve riflessione in ordine ai

rapporti tra il diritto di critica giornalistica ed il diritto alla dignità sociale di ciascun individuo. L’art. 595 del codice penale punisce chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, prevedendo un aumento di pena nel caso in cui l’offesa venga arrecata – tra l’altro – con il mezzo della stampa.L’art.1 della legge 8 febbraio 1948, n.47 considera stampe o stampati tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione.

La diffamazione a mezzo della stampa costituisce da sempre terreno di scontro tra gli opposti interessi costituzionali della tutela dell’onore della persona (art. 2 Cost.) e la protezione della libertà di pensiero, anche sottoforma di libertà di critica (art. 21 Cost.).Il diritto di critica – inteso come libertà di dissentire dall’opinione altrui operandone una consequenziale valutazione personale – viene ritenuto lecito dalla prevalente giurisprudenza allorquando il discorso giornalistico, sviluppandosi su tematiche fortemente dibattute e nell’àlveo di una polemica intensa e dichiarata, si mantenga entro i limiti della rilevanza sociale dell’argomento e si manifesti attraverso l’utilizzo di espressioni anche aspre, ma pur sempre connotate da oggettiva correttezza e pertinenza con l’oggetto della discussione.Viceversa, tutte le volte in cui si trascenda in attacchi personali, vòlti unicamente a colpire sul piano morale il bersaglio della censura (e perciò senza alcuna finalità di pubblico interesse), gli àmbiti di liceità del diritto di critica vengono inescusabilmente travalicati, trovando piena applicazione il rigore del codice penale.

Non c’è dubbio, in altri termini, che la critica – per sua stessa natura – sia inevitabilmente parziale e diretta ad evidenziare  e stigmatizzare gli aspetti e le ideologìe del soggetto criticato.Tuttavia la libertà di dissenso non può mai prescindere da una corretta manifestazione linguistica del pensiero, dalla verità – quantomeno putativa – della notizia e dalla oggettiva rilevanza pubblica dell’argomento, non essendo ammissibile utilizzare la stampa come mezzo per infliggere alcun tipo di attacco personale, teso unicamente a screditare in maniera gratuita la reputazione dell’individuo.

 

Roberto Santoro(Magistrato)