IL CAMBIAMENTO CULTURALE È LA CHIAVE PER LA RIEDUCAZIONE

Intervista al dott. Stefano Liberatore, Direttore della Casa Circondariale di Teramo

 

carcere_scuolaCon la sentenza Torreggiani, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il sistema carcerario nazionale per trattamento inumano dei detenuti. Entro maggio 2014 il nostro paese dovrà porre un rimedio concreto al problema spinoso del sovraffollamento degli istituti di detenzione che si attesta al 150, 95 % con una massiccia presenza di reclusi in attesa di giudizio. Questa situazione delicata riguarda anche la nostra regione e la casa circondariale di Teramo. A tal proposito abbiamo incontrato il Direttore Dott. Stefano Liberatore.

Direttore, com’è la situazione sovraffollamento nel carcere di Teramo? E’ un momento di criticità sotto il profilo penitenziario soprattutto per sovraffollamento. Al 29 novembre 2013 il nostro istituto ospita 410 detenuti, tra i quali 83 stranieri e 45 donne, a fronte dei 260 che la struttura può contenere. La nostra, essendo una casa circondariale, dovrebbe accogliere prioritariamente soggetti non definitivi, mentre la presenza di ben 249 detenuti con sentenza passata in giudicato, ci deve far riflettere sulla situazione. Inoltre ci sono troppi circuiti penitenziari che generano una complessità tipologica difficile da gestire.

La presenza di più circuiti è un punto critico? Ai fini del problema di cui stiamo parlando certamente. Essi si fondano sulla differenziazione degli istituti per tipologie detentive la cui suddivisione in categorie dipende dalla posizione giuridica (imputato-condannato), dal livello di pericolosità, dal fine pena e dai risultati emersi nel corso di osservazione. Più circuiti penitenziari rendono difficile la gestione rispetto ad altri carceri perché riduce ai detenuti lo spazio da dividere. Diverse categorie non possono convivere per motivi giuridici, clinici, di disciplina, di opportunità, di tutela di terzi e impongono una separazione forzata. Tale suddivisione è giusta, ma dovrebbero esistere più spazi. L’eccessiva popolazione carceraria è favorita dai processi – lumaca e dal massiccio ricorso alla custodia cautelare? A livello legislativo si sta rivisitando l’istituto della custodia cautelare. In carcere arrivano, oltre ai criminali di alta pericolosità, persone con fragilità emotiva e bassa pericolosità la cui gestione necessiterebbe di percorsi diversi e alternativi alla detenzione attraverso, per esempio, istituti della “messa alla prova” in lavori di pubblica utilità che presuppongono inevitabilmente il potenziamento dell’ Uepe e degli Uffici di Sorveglianza. In questo modo si garantirebbe un servizio utile alla collettività, si riuscirebbero a decongestionare i processi e soprattutto a migliorare l’ambiente penitenziario. Un essere umano privato della libertà personale soffre sicuramente di un carente equilibrio psico – fisico che può indurlo ad atti disperati. Il disagio derivante dal sovraffollamento, che è un fattore endemico del sistema e può creare scompensi, non è assolutamente il motivo principale che spinge a gesti di auto – soppressione. Dietro di essa ci sono problematiche più profonde come la mancanza di affetti, di lavoro e di una prospettiva di reinserimento sociale concreta. Il sovraffollamento, quindi, è da risolvere? La risoluzione implicherebbe la costruzione di nuove strutture che, a causa della congiuntura economica sfavorevole, non è possibile da realizzare medio-tempore. Ci aspettiamo, quindi, provvedimenti dall’amministrazione penitenziaria incentrati su un nuovo sistema di detenzione “modulare” per contenere il fenomeno. Nel frattempo è necessario andare avanti e adeguare alle esigenze attuali gli esegui spazi di cui disponiamo, senza però perdere di vista quel senso di umanità, esplicitamente riportato dal dettato costituzionale.

L’amnistia e l’indulto risolverebbero il problema o sarebbero un palliativo momentaneo? Dall’ultimo provvedimento di indulto nulla è cambiato. Essi sono sistemi emergenziali di puro perdonismo dello Stato che vanificano da una parte la certezza della pena, anche in rispetto delle vittime dei reati, troppo spesso dimenticate; dall’altra non offrono al reo la possibilità di riscatto aumentando il rischio di recidiva. Bisogna umanizzare il carcere, il luogo dove si tutela la collettività; il luogo della formazione sociale; la palestra dove l’individuo deve essere rieducato per il suo reinserimento. Il detenuto deve avere l’opportunità di cambiamento perché la mancanza di prospettive future conduce alla morte interiore. E’ opportuno a tal fine rendere efficace il trattamento rieducativo cambiando la mentalità culturale degli operatori e dell’intera società verso il carcere.

Il regime di non -perimetralita’ è in vigore in questa casa circondariale; quali vantaggi apporta? Il detenuto gode, se in possesso di determinati requisiti, di un regime aperto che gli permette di socializzare, creandosi, così, una comunità interna che induce al rispetto delle regole. In questo modo si sviluppa l’auto – responsabilità e il senso di autocontrollo che permettono la maturazione per un ritorno in società. Tutto questo è reso possibile grazie alla c.d. sorveglianza dinamica o partecipata che è un nuovo modo culturale di gestione del detenuto che offre al reo tante chances di manifestarsi nel rapporto con la polizia penitenziaria, i compagni, gli educatori, i volontari. C’è l’elevazione culturale del ruolo del poliziotto e il rapporto con il detenuto non è più incentrato sulla mera custodialità che non costituisce più garanzia di sicurezza, ma sulla conoscenza dello stesso poiché non può esserci sicurezza se non viene garantito il trattamento, che diventa pertanto condizione imprescindibile. Direttore molti sostengono che il carcere,vissuto in una situazione di degrado dovuta anche al sovraffollamento, diventa il posto dove c’è la formazione e specializzazione del delinquente. Ma è realmente così? Fin quando si considera il carcere come luogo meramente afflittivo, di isolamento e di vendetta sociale e non di riparazione e rieducazione aumentano le chiavi di addottrinamento criminale da parte dei soggetti più esperti. Se guardiamo ad esso in una prospettiva di trattamento rigorosamente pensato e tarato sulle esigenze dei singoli e finalizzato a concreti ed individuali percorsi di reinserimento, le opportunità di riscatto sono concrete e il detenuto farà di tutto per aderire a una scelta migliore per il futuro. Per evitare quest’ addottrinamento “all’arte criminale” è importantissimo il circuito penitenziario che permette di tenere separare categorie di individui più pericolosi da altri ritenuti più fragili, al fine di evitare influenze reciproche negative ed attuare un percorso ad hoc. Ricordiamo che il carcere non può vivere da solo. La società si deve armare dei mezzi idonei per far continuare la linea pedagogica intrapresa durante la detenzione. E’ importante la coscienza sociale di chi è dentro e fuori il carcere. L’indifferenza porta ad atteggiamenti lesivi; chi crede e spera nella rieducazione riesce ad infondere la speranza di cambiare vita anche al detenuto e ciò costituisce senza dubbio la sua salvezza.

(PrimaPagina edizione Gennaio 2014)