FACCIAMO IL PUNTO SULLA SITUAZIONE MEDIORIENTALE

Dall’Iran a Gibuti, lo scacchiere del mondo islamico e le dinamiche (non solo religiose) che lo muovono

di Raffaele Romano

Per avere un quadro completo di quello che accade in Medio Oriente in questi giorni c’è bisogno di partire da alcuni fatti ben precisi. Quello più importante per rilevanza storica e religiosa è legato alla divisione, nel mondo musulmano, fra sunniti e sciiti. La successione a Maometto è all’origine della grande divisione tra i sunniti, che rappresentano l’ortodossia dell’Islam, e gli sciiti. Questi ultimi infatti ritengono che Maometto nel 632 d.c. avrebbe designato il genero ‘Ali a succedergli. La prevalenza è sunnita, ma a capo degli sciiti c’è, purtroppo, l’incontrollabile Repubblica Islamica dell’Iran che conduce, secondo il suo punto di vista, una guerra santa contro Israele e, di conseguenza, contro l’intero Occidente. Negli anni a nulla sono valsi i tentativi di limitare la forte irruenza degli Ayatollah che si sono succeduti e soprattutto, a niente sono valse le manifestazioni interne per liberare la schiavitù in cui questo regime ha portato le donne. Per loro l’obiettivo primario è la totale conquista del consenso del mondo islamico e la supremazia politica nella guida della Umma, la comunità di tutti i musulmani del mondo. Il medio oriente comprende ben 15 Stati: Libano, Siria, Israele, Giordania, Iraq, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Oman, Yemen, Kuwait, Iran, Turchia, Palestina e Bahrain. Da tempo sono stati posti in atto a livello mondiale tentativi per far dialogare le parti più moderate fra quelle palestinesi ed israeliani. Il risultato più importante fu realizzato dal leader israeliano Yitzhak Rabin, ucciso nel 1995 da ambienti di estrema destra israeliana, e insieme a lui Muhammad Anwar al Sadat colpevole di aver firmato la pace con Israele dopo la guerra dello Yom Kippur.

La strategia messa in campo da Teheran è da alcuni decenni quella di finanziare ed armare quei gruppi che si scatenano per tentare di distruggere Israele. In questo quadro la diplomazia americana ed israeliana stava portando l’Arabia Saudita sunnita a sottoscrivere un accordo con Tel Aviv all’inizio dello scorso autunno, ma l’assalto di Hamas del 7 ottobre ha bloccato, per ora, l’intera operazione.

Nell’aggrovigliato scacchiere mediorientale sono in atto le più disparate alleanze come quella del presidente siriano Bashar al Assad appartenente alla setta sciita degli alawiti. Assad si è fatto aiutare dai russi e dall’Iran per soffocare la rivolta contro il suo illimitato potere e anche l’Iraq, con il governo sciita di Haidar al Abadi, è in linea di massima schierato con Teheran, ma mantiene un atteggiamento molto più prudente e si muove, in un instabile equilibrio, fra gli Stati Uniti e l’Iran. Pochi anni fa ci fu l’assalto a Teheran dell’ambasciata dell’Arabia Saudita che costituì il Consiglio di cooperazione del Golfo a cui aderirono Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein e subito dopo anche il Sudan e Gibuti si schierarono decisamente con l’Arabia Saudita rompendo le relazioni diplomatiche con l’Iran.

La politica di penetrazione di Teheran le ha consentito di avere alle proprie dipendenze molti gruppi terroristici in Libano con gli Hezbollah, nello Yemen con i ribelli sciiti Houthi. Particolare la situazione nel Bahrein, dove la maggioranza della popolazione è sciita, mentre la dinastia al potere è sunnita, un vero rompicapo. Senza dimenticare l’Isis che con la Jihad, la guerra santa contro gli infedeli, è un po’ ovunque. Tutti questi gruppi hanno discrete presenze nei territori della Cisgiordania, a Gaza, in Giordania ed in Palestina. Inoltre a tirare le fila dietro le quinte in questo incontrollabile dedalo di posizioni e contrapposizioni ci sono anche la Russia e la Cina che contribuiscono a soffiare sul fuoco.

i leader di Iran, Arabia Saudita e Turchia

Adesso la situazione, con l’entrata in campo degli yemeniti Houthi nel Mar Rosso, rischia di sfuggire di mano. A ben vedere, però, le pronte risposte di Stati Uniti e Gran Bretagna dovrebbero incidere sulle decisioni di ampliare o meno i loro interventi. Il tutto è nelle mani dell’Iran. Un esame di coscienza andrebbe messo in atto al riguardo, infatti l’Occidente è stato abbastanza timido e titubante nel sostegno al popolo iraniano in rivolta applicando sanzioni economiche che, notoriamente, vengono aggirate attraverso triangolazioni con Stati compiacenti. Spesso appelli e richiami sono stati gli unici elementi che hanno distinto l’azione diplomatica in Occidente. Nel frattempo, mentre le azioni di guerra si susseguono nel Mar Rosso l’Europa si è riunita per decidere come e cosa fare mentre, in Italia, sia il governo che le opposizioni preferiscono il non decidere e cercare di ritagliarsi il falso abito dell’italiano “brava gente”. Purtroppo però qui ci giochiamo il presente ed il futuro ricordando alle opposizioni e al governo che dal Canale di Suez passa (passava?) il 40% delle esportazioni ed importazioni di tutt’Italia.