EDOARDO (EDWARD) CORSI CUSTODE DI ELLIS ISLAND

di Antonio Bini

Nell’autunno del 1931 si diffonde la notizia singolare e inattesa, ripresa dalla stampa nazionale, che riempì “di gioia milioni d’italiani che vivono in America” – come scrisse Il Secolo Illustrato del 15 novembre 1931 – in un articolo dal titolo “Un abruzzese, custode della porta dell’America” –  che alludeva alla scelta del presidente degli Stati Uniti Herbert Hoover di nominare Edoardo Corsi commissario per l’emigrazione.

                                     

(Foto autografata di Edward Corsi – 1935; /Copertina del libro “In the Shadow of Liberty”, 1935 /Foto di una nave di emigranti approdata ad Ellis Island nel 1907, anno in cui Edoardo Corsi, allora bambino, emigrò negli Stati Uniti)

Per la prima volta, un emigrato italiano fu chiamato ad essere custode di Ellis Island, allora considerata la “Porta d’America”. Da questo articolo prendiamo spunto per ricordare la figura Edoardo Corsi.  Il prestigioso incarico venne affidato ad un italiano, che da bambino aveva personalmente conosciuto la durezza del passaggio per l’isola di Ellis Island che definì “una bolgia infernale”.

Nato a Capestrano il 20 dicembre 1896, aveva già vissuto in tenerissima età, sul finire dell’800, una breve permanenza in Svizzera (esilio, come scrisse), al seguito del padre Filippo Corsi, repubblicano mazziniano, che per sfuggire alle persecuzioni governative di quel  periodo scelse di emigrare a Lugano. Durante l’esilio nascerà una sorellina alla quale venne dato il nome di Helvetia, in omaggio alla terra svizzera. Filippo Corsi sin da giovanissimo era stato molto attivo sul territorio abruzzese, a sostegno delle riforme agrarie e della cooperazione, oltre ad essere impegnato per la sicurezza del lavoro nello stabilimento chimico di Bussi, tra le prime esperienze di industrializzazione del Val Pescara. Poco tempo dopo il rientro in Italia, Filippo Corsi venne eletto deputato nel collegio di Massa – Carrara. E proprio a Massa, dove era arrivato in treno per tenere un discorso in comune, fu colpito mortalmente da un infarto, lasciando nel dolore e nella miseria la moglie Giulia Pantano e i quattro figli. Edoardo, primogenito, non aveva nemmeno sette anni. Correva l’anno 1903. Nei mesi successivi, come in uso al tempo, un parente da parte del marito sposò la vedova per aiutarla a sostenere la famiglia.                             La difficilissima situazione economica indusse la famiglia – come tanti capestranesi – ad emigrare negli Stati Uniti nel 1907, dove erano già presenti altri parenti. Quello si rivelò un anno record per l’emigrazione, con oltre un milione di sbarchi ad Ellis Island. Qualcosa che doveva rimanere per sempre nella memoria di Edoardo.

La sua infanzia fu durissima. Insieme allo studio cercò di svolgere diversi piccoli lavori per concorrere nel sostegno della famiglia. Dopo non molto perse anche la madre. Con straordinaria tenacia e grande spirito di sacrificio conseguì nel 1922 la laurea in legge presso la Fordham University di New York. Nella stessa università molti anni dopo, Dominick Salvatore, un altro abruzzese, diventerà preside della Facoltà di Economia. Iniziò a pubblicare articoli su problematiche sociali su riviste come The Outlook e The World. Nel 1926 fu nominato direttore della Haarlem House che offriva servizi di educazione e ricreazione in favore della comunità italo-americana. Lì conobbe Emma Gillies, assistente sociale, che sposò nello stesso anno. Due anni dopo nacque il figlio Philip Donald.

Nel 1930 iniziò la sua carriera nell’amministrazione governativa americana venendo nominato supervisore del Censimento Federale a Manhattan. La sua attività fu particolarmente apprezzata a vari livelli, tanto che l’anno successivo il presidente degli Stati Uniti, Herbert Hoover, volle conoscerlo personalmente rimanendo positivamente colpito, tanto da  affidargli l’incarico di commissario per l’emigrazione ad Ellis Island. E proprio su quest’incarico prestigioso cercheremo di soffermarci, tornando a quei giorni.

Il citato Secolo Illustrato sottolineò con gran rilievo l’avvenimento che “ancora qualche anno prima sarebbe stato inconcepibile”. Queste le sue prime dichiarazioni nell’assumere l’incarico “Io intendo umanizzare, trasformare Ellis Island da un luogo di umiliazioni e di pene, come era nel passato, in una vera casa dove delle volte si deve restare per mesi. Per essere severi non occorre essere crudeli, per essere energici basta essere giusti”. Evidentemente, nel rispetto delle leggi vigenti. Il periodo non era facile per le conseguenze del crollo di Wall Street, mentre solo quatto anni prima erano stati condannati a morte Sacco e Vanzetti. Il numero degli emigranti andava diminuendo rispetto agli anni precedenti, mentre  c’erano limitazioni quantitative che erano state poste per l’ingresso degli italiani, discriminanti rispetto ad altri paesi. Una motivazione andava trovata nella convinzione, allora diffusa, che gli italiani fossero tra quelli che davano maggiore contributo alla criminalità. Una circostanza che fu smentita dal rapporto di una commissione di giuristi voluta dal presidente Hoover    dal quale emerse che “gli italiani – tra gli emigrati – erano i migliori cittadini americani, sobri, laboriosi, e i più alieni da quelle forme di delinquenza che ora spandono così cattiva luce sull’America”. In quel periodo, mentre si riducevano i flussi ordinari, rimanevano in ogni caso quelli costituiti da donne e bambini che continuavano ad approdare ad Ellis Island “chiamati” dai capi famiglia già stabiliti in America.                                                                                                                          Al termine dell’incarico Edward Corsi ritenne opportuno raccontare quella straordinaria esperienza pubblicando nel 1935 “In the Shadow of Liberty: The chronicle of Ellis Island”, edito da The Macmillan Company, New York, recante l’introduzione di Fiorello La Guardia, allora sindaco di New York, attestante la bontà dell’opera svolta dal commissario. Il libro è preceduto da un excursus della propria vita in cui non nasconde certo le origini abruzzesi, con richiamo alla figura del padre, al breve “esilio” in Svizzera e quindi alla partenza per gli Stati Uniti, all’approdo ad Ellis Island e  l’adattamento alla nuova realtà. All’Abruzzo è dedicato il secondo capitolo.

“The Abruzzi was really all I knew of Italy” (L’Abruzzo era davvero tutto quello che sapevo dell’Italia), ammise Corsi, sottolineando come “quella terra selvaggia avesse dato all’Italia e al mondo personaggi come d’Annunzio, Croce, i Rossetti, De Virgili e Ovidio”. Esaltò gli scenari montagnosi della sua regione, dominati dal Gran Sasso e dalla Maiella, le origini medievali del suo paese, “posto tra L’Aquila e Sulmona”, e la storia di San Giovanni da Capestrano che gli raccontava suo padre. Nella sua memoria anche i pastori e, tra questi, gli improvvisatori (cantori e poeti a braccio). Del padre richiamò gli ideali politici sintetizzando l’impegno umano e politico in favore di contadini e operai, portato avanti anche attraverso la rivista “La Democrazia” da lui stesso fondata, seguendo i principi mazziniani e in contrasto con la monarchia. Si evince come egli stesso si sia ispirato sempre alla figura del padre Filippo, che una targa, posta dopo la Liberazione, ricorda tuttora, con queste parole, in piazza della Libertà a Pratola Peligna:  “Trasse dalle idealità repubblicane, dall’affetto per i lavoratori, la fede e la forza per combattere il dominio delle oligarchie locali, per ridestare alla coscienza dei nuovi destini il popolo di queste terre“.

La gran parte del libro è in ogni caso dedicata all’emigrazione e soprattutto alla situazione di Ellis Island, quella trovata e quella migliorata grazie alla sua azione umanitaria. Colpisce il confronto, documentato fotograficamente, tra una grande camerata con numerosi emigranti dormivano ammucchiati su letti  a castello disposti in continuità, a doppia piazza, e le nuove sale destinate all’accoglienza di madri con bambini. In un’altra immagine del 1933 si può notare Edward Corsi donare piccoli regali, in occasione del Natale, a bambini provenienti da vari paesi del mondo. Nelle pagine conclusive, Corsi ammise – mentre era intento a liberare il suo grande ufficio al termine dell’incarico – che “i suoi pensieri vagavano verso la lontana mattina di ottobre, di tempo fa, quando l’ombra della libertà aveva accolto l’arrivo della famiglia Corsi in America, e tutto ciò che era accaduto negli anni successivi”.

Il libro riesce ad essere al tempo stesso la storia travagliata di una prodigiosa carriera e quindi di uno straordinario riscatto sociale, insieme ad una testimonianza orgogliosa delle proprie origini italiane e, abruzzesi in particolare, con un omaggio riconoscente al padre e una prova del servizio reso agli Stati Uniti, suo paese di adozione, soprattutto nel processo di umanizzazione e riorganizzazione, anche logistica, dell’accoglienza degli emigrati. La Guardia lo nominò direttore dell’Home Relief Fund (Fondo per l’assistenza domestica) di New Yorke. Nel 1950 si candidò a sindaco di New York ma gli venne preferito un altro italo-americano, Vincent Impellitteri. Ma Corsi era soprattutto un grande manager del sociale. Seguirono altri incarichi nel corso del tempo, ai massimi livelli, sempre riguardanti l’emigrazione e il welfare.

Edward Corsi morì il 13 dicembre 1965, a seguito di un incidente stradale. Il fondo contenente lettere e documentazioni varie a lui appartenute è stato lasciato all’Università di Syracuse, nello stato di New York. Forse un ultimo pensiero all’Italia.

Viene da pensare a quanto scrisse John Fante in una lettera diretta al figlio Dan, quando annotò: “Mi dicono che gli abruzzesi sono gente molto per bene”, alludendo alla reputazione degli abruzzesi che personaggi come Edward Corsi, come e più di altri, hanno certamente contribuito ad alimentare negli anni passati. Corsi fa parte della grande storia dell’emigrazione americana, italiana e quindi anche di quella abruzzese. Una storia, quest’ultima, che resta ancora tutta da scrivere.

BOX – I 130 anni di Ellis Island –

Nel 1892 l’isolotto posto alla foce del fiume Hudson nella baia di New York viene trasformato in  “stazione” porta di ingresso per gli immigrati diretti negli Stati Uniti. Era l’isola delle speranze, ma anche delle lacrime, dove gli immigrati venivano identificati e sottoposti a umilianti controlli e visite mediche, prima di approdare al suolo americano. La loro permanenza poteva protrarsi per giorni e settimane in squallidi saloni. C’era chi veniva costretto a rientrare nei paesi di provenienza. Una circostanza dolorosa che senza alcuna pietà poteva separare anche i nuclei familiari. Nel 1954 Ellis Island venne chiusa. Venti milioni di emigranti, provenienti da una cinquantina di paesi del mondo, erano fino ad allora transitati per l’isola verso il sogno americano.  Quei luoghi, a partire dal 1990, sono stati trasformati nell’Ellis Island Museum of Immigration, che vanta 65milioni di nominativi di immigrati, il museo simbolo dell’emigrazione nel mondo.  A poca distanza si trova Liberty Island, dove si erge ben visibile la Statua della Libertà.