NELLA CASSAFORTE DEI SINDACATI

sindacati_scipoero_lavoro_primapaginaIn Italia le sigle delle organizzazioni sindacali non si contano, ma se sichiede a qualunque uomo di strada quale ricorda per prima, snocciolerà sicuramente il rosario: Cgil, Cisl, Uil. Tutti sanno che i sindacati sono organi che raccolgono i rappresentanti delle varie categorie produttive o parti sociali allo scopo di difendere gli interessi degli stessi. Dette confederazioni

sono ovviamente presenti anche sul nostro territorio. Il sindacato visto unicamente come “quello che organizza lo sciopero” non sta più al passo coi tempi: “Anche l’ideologia intesa come anni fa, quando era necessario iscriversi alla Cgil se si aveva la tessera del Pci, è esaurita”, dice Giampaolo Di Odoardo, segretario della Cgil di Teramo. In periodi di crisi drammatica come questi si ricorre spesso all’organizzazione per la tutela del lavoratore, vertenze contro datori di lavoro, ma anche molti altri servizi con i famosi “patronati”. Questi ultimi sono previsti dalla legge e sono ‘al servizio del cittadino’ per la tutela di diritti individuali. A loro si rivolgono quindi persone che abbiano problemi pensionistici, di assistenza sanitaria – ad es. per il riconoscimento dell’invalidità – nonché le prestazioni di “ultima generazione” come l’assistenza agli immigrati. Da un punto di vista economico i patronati ricevono un finanziamento pubblico, attraverso un fondo specifico accantonato presso gli istituti di previdenza. Tale fondo è composto da una percentuale dei contributi versati dai lavoratori dipendenti in ogni anno. Il finanziamento è trasferito ai patronati in maniera proporzionale all’attività svolta, verificata dal ministero del lavoro attraverso i propri ispettori. Spesso molto si è detto del potere dei sindacati e degli sprechi, ma a quanto pare questa è una realtà più nazionale che teramana: “Ma quali sprechi – ribatte conveemenza D.C., impiegato da una vita alla Cgil -. Qui non si arriva mai tra ricorsi dipensionati, richieste di ogni tipo e chi più ne ha più ne metta” e mostra con un ampio gesto della mano una scrivania sepolta da cartelle e fascicoli abbastanza pericolanti. Anche gli scioperi hanno un grosso costo per chi li organizza e per i lavoratori – in Italia frequentissimi, all’estero decisamente meno: “Lo sciopero è effettivamente una anomalia italiana così come strutturato, ma bisogna considerare che è pur sempre un grosso sacrificio per i lavoratori. Non è un divertimento” ammette Giampaolo Di Odoardo. Altra questione che potrebbe essere considerata come un problema è quella dei delegati delle r.s.a/r.s.u. nelle fabbriche i quali, pur percependo il loro normale stipendio di lavoratore, usufruiscono spesso, tra permessi e ferie, di molti più giorni fuori dalle imprese che dentro a lavorare; come si vede non è il solo articolo 18 – un unicum in tutto il panorama europeo – che andrebbe cambiato. Per quanto concerne quest’ultimo è evidente come tale articolo muovesse dal fatto che non si potessero licenziare i lavoratori sindacalisti. I sindacati si sono poi sempre rifiutati di entrare nei consigli d’amministrazione d’impresa (il solito muro contro muro all’italiana), mentre alla Volkswagen ci sono da trent’anni, percependo anche il compenso come amministratori. Tempo addietro erano presenti nei cda di alcuni istituti previdenziali, ma si sono ritirati. Inoltre il sindacato non deve presentare i bilanci consolidati: dicesi tale un documento consuntivo di esercizio che rappresenta la situazione economica, patrimoniale e finanziaria di un gruppo di imprese, elaborato dalla società posta al vertice (capogruppo). È un documento pubblico: ogni Caaf, patronato, sede territoriale ecc. presenta il suo, ma questi sono slegati dalla “casa-madre”. Col risultato che per verificare determinate cifre occorre un lavoro da archeologo più che da fiscalista. La mancanza di un bilancio consolidato non consente poi di fare chiarezza sugli stipendi dei circa 20 mila sindacalisti a tempo pieno delle tre grandi confederazioni. Della Cgil si sa solo che ne conta 14 mila – per il 40 per cento dirigenti, qualifica che scatta a partire dal grado di funzionario – e che il costo del lavoro è pari a circa il 40 per cento del fatturato. La Cisl dell’abruzzese Bonanni dispone di uno sconto sui trasporti pubblici. Secondo fonti non certe, Guglielmo Epifani, già segretario della Cgil avrebbe percepito 3500 euro mensili, un po’ meno i suoi omologhi di Cisl e Uil; Landini, segretario generale della Fiom, 2.300. I 12 segretari confederali circa 2.400 euro. La Cisl e la Uil pagano poco di meno i loro numeri uno – 3.430 euro Bonanni e 3.300 Angeletti – masono più generose con i dieci segretari confederali – 2.850 quelli di via Po, 2.900 quelli di via Lucullo. In tutto i sindacati contano in Italia circa 20.000 impiegati. Non sono forse troppi? Di Odoardo smentisce seccamente: “In realtà facciamo fatica a trovarli! Non è facile, bisogna essere adeguatamente formati, preparati ed essere disposti a lavorare di sabato e se serve anche didomenica. Spesso quindi ricerchiamo chi abbia già lavorato in fabbrica, che abbia già una certa esperienza”. L’organizzazione si mantiene attraverso le trattenute sulla busta paga dei propri iscritti e tramite anche versamenti da parte del governo che li versa però al comitato centrale. Nella nostra città quanto guadagnano i sindacalisti? Trovare risposte ‘spontanee’ è parecchio impegnativo: c’è chi dice “non più di 1200”, altri, con qualche anno di più sulle spalle si limita a dire con fastidio “1350 – 1400 euro netti al mese”. “Se si hanno responsabilità politiche, a seconda che siano provinciali o regionali, si può arrivare a 1700-1800 euro”, dice Silvio Amicucci Ioannone della Filla Cgil. Ancora, ogni anno l’Ue stanzia un miliardo e mezzo per la formazione professionale in Italia. Dieci dei quattordici enti che si spartiscono la metà dei finanziamenti nazionali sono partecipati dalle tre sigle sindacali più importanti. Una volta terminati, i partecipanti quasi mai trovano lavoro. “Effettivamente il sistema è da rivedere completamente – afferma Di Odoardo -. Per esempio, facendosi restituire i soldi dalle imprese che promuovono i corsi se non assumono”. Ultimamente, però, anche i sindacati se la cavano un po’ male, vista la drammatica crisi, sicché è partita “la rivolta delle tessere; molti pensionati, che continuano a pagare trattenute magari per una vecchia e “involontaria” iscrizione legata a un passato contatto con gli uffici Cgil, stanno disdettando – termine bruttissimo l’iscrizione e vista aumentata la pensione. D’altronde, di questi tempi, c’è chi deve veramente “spaccare il centesimo in quattro”, come dice Alan Friedman.