I Rock Race

I RockRace, bandOtto pezzi di malcontento e ribellione in stile Guns ‘n’ Roses, Led Zeppelin, e sfogo al ruggito di una chitarra tirata fino allo spasmo e di una voce che strepita come il deragliamento di un treno in corsa. “Rock Race”, opera prima della band tutta teramana, distribuita dalla Ideasuoni di Nino Di Berardino, non deluderà 

certamente gli amanti del genere. Un disco che nelle parole e nell’attitudine diviene vero e proprio fi lm della vita della gruppo. Un continuo altalenarsi di esperienze, vissute in un unico modo, a testa alta. Nessuna “prima donna”, nessun divismo da palcoscenico, solo quattro amici pronti a suonare (e sudare) la  carica del loro personale rock ‘n roll. Antonio Gambacorta, chitarra e autore dei brani, imbraccia il suo strumento come un militare il fucile, mitragliando una raffica di riff che sembrano rigurgitare un doloroso passato, il disgusto di quanto accade quotidianamente intorno. Brani come “Valkjria” e “The Beginning”, posta tra le ultime quasi a sovvertire le leggi precostituite, sono lì a testimoniarlo. Glauco Di Sabatino, batterista di stampo jazz che si diverte come un matto a dondolare sulle linee del basso di Tommaso Paolone a colpi di controtempi. È un polpo impazzito dietro la sua folle cabina di comando, che sembra messa lì a fare a gara con l’urlo incavolato dei brani. Un innesto, quello del singer Rudy Baiocchi, che è la quadratura del cerchio. Voce duttile che sa essere potente e  sgraziata, intima e infantile, tra brani di un indimenticabile passato e il presente, che guarda già al futuro di nuove composizioni per il prossimo album, “Rock  Race II”. I quattro paladini teramani della musica “che fu” hanno saputo creare con questo disco d’esordio un suono unico, fondamentale, semplicemente  rinnovando con nuovo carisma una musica che va oltre le mode dei tempi. “Lexy” è il picco intimista della track-list e il brano migliore, una rock-ballad che vuole  essere catarsi in seguito ad un grande dolore e che è logicamente legata ad una personalissima “Don’t Let Me Down” (che con “Something completa la coppia di cover beatlesiane) che chiude in crescendo il disco.