DAVID FERRANTE: LA MAGIA E’ NELLA VITA DI OGNI GIORNO

Sociologo e scrittore, appassionato studioso e divulgatore della cultura popolare abruzzese, David Ferrante narra con uno stile particolare, intimo e al tempo stesso rigoroso, di leggende e miti abruzzesi legati al mondo dell’occulto. I suoi lavori sono dedicati ad aspetti etnografici, esoterici e leggendari del folclore abruzzese ed ai suoi “personaggi” più iconografici: streghe, magare, mazzamurelli. Figure fantastiche che hanno popolato per secoli la tradizione tramandata oralmente, da nonne e familiari, magari intorno al focolare, nelle sere rurali della società contadina. Oggi grazie a persone come David Ferrante, questo patrimonio culturale viene custodito e tramandato attraverso studi, libri, racconti.

In questa intervista a tutto tondo, l’autore invita a vedere la “magia” nella quotidianità.

Che tipo era da bambino?

Spero normale! Scherzi a parte, forse troppo introverso e riservato.

C’è qualcosa di cui aveva paura?

Non ricordo una paura in particolare. Forse ne ho più ora, ora che ho maggiore cognizione della realtà.

Ha all’attivo varie pubblicazioni; qual è stata quella che le ha dato più soddisfazione?

La soddisfazione è momentanea, limitata ai primi giorni dalla stampa, poi subentrano la mia pignoleria e l’autocritica. Ogni nuova pubblicazione è una gioia, è il concretizzarsi di lavoro, tempo e passione. In questo momento mi emoziona il mio nuovo libro, Il Dolore della Luce. Racconti di streghe, fantasmi e di me, per tanti motivi: c’è così tanto della mia vita e delle mie emozioni che mi procura…dolore, appunto. Spero sia il dolore della rinascita e della crescita personale. E sono contento dei lavori in fase di pubblicazione. Volendo indicare un paio di titoli, direi Tradizioni, riti e sortilegi del 24 giugno. San Giovanni Battista nella cultura popolare abruzzese, che rappresenta il passaggio da ciò che avevo scritto fino a quel momento (saggistica sociologica) a quello che avrei scritto successivamente e L’Ammidia. Storie di streghe d’Abruzzo, che, ad oggi, è il libro firmato da me più venduto, anche se Fate… e gli altri gli stanno con il fiato sul collo.

Lei è un divulgatore della cultura popolare abruzzese. Ci può descrivere come avvengono le sue ricerche?

In generale c’è un’idea, un interesse, faccio uno studio sulla tematica che vorrei trattare, segue una scaletta che utilizzerò io, se il lavoro è solo mio, o condividerò con altri autori nel caso delle antologie. La ricerca è soprattutto bibliografica (preferisco testi antichi), poi mi affido molto anche ai ricordi miei e di altre persone e non disdegno il web, stando sempre attento alle fonti. Per quanto riguarda l’uso dei testi contemporanei sto molto attento agli autori. Poi, che ci si creda o no, c’è sempre un qualcosa che guida molta parte della lavorazione. Il fato? Energie? Chissà! Oltre alle mie emozioni e sensazioni.

Ripete spesso che dietro l’angolo può sempre esserci “una fregatura”. È perché ha poca fiducia negli altri o perché è troppo sicuro di se stesso?

Credo che la sfiducia sia collegata all’insicurezza personale e alla troppa importanza data all’altro, quindi, chi è sicuro di sé e, ancora di più, chi è illuso della propria superiorità, penso non dia nessun peso agli altri. In alcuni miei racconti si può avvertire la fiducia tradita, quindi la delusione, più che la sfiducia. Ma, sì, sento il puzzo di rogo dietro gli angoli, e considero ogni inquisitore limitato ed egoriferito…pericoloso.

Come giudica questa insistenza nel dequalificare cibo, usanze e tradizioni italiane a vantaggio d’innovazioni imposte dall’Europa come ad esempio la farina d’insetti?

Sono curioso e quindi ben disposto ad assaggiare anche cibi per me nuovi. Ho mangiato insetti e non disdegno piatti “strani” o esotici. Anche nella nostra tradizione ci sono cibi particolari, si pensi alla carne di cavallo o di asino che si mangia anche dalle mie parti, ormai un piatto della tradizione. Noto anch’io questa tendenza di cui lei parla. C’è chi, ad esempio, sente la necessità di dover dimostrare che il tipico non esiste, chi fa business negando l’origine italiana di molti cibi, così come fa comodo a molti Paesi che l’Italia perda anche i suoi primati culinari, c’è chi ha bisogno di sentirsi chic e all’avanguardia diventando paladino di robe come la carne sintetica e chi combatte il “bone gne na vote” perché una volta c’era la fame e i cibi non erano sani e genuini a causa della povertà, ecc. ecc.

Bene, credo che tutti abbiamo la consapevolezza che non esistano ricette che non siano un prodotto di contaminazione culturale e sappiamo anche che ciò che mangiamo oggi è la ricetta della nonna, ma con prodotti, tecnologie e canoni attuali. Inviterei a considerare che per un paese come l’Italia sarebbe più utile spendersi per la promozione della propria cucina e nella ricerca della qualità piuttosto che in sterili teorizzazioni.

Arriviamo al paradosso di cercare cucine straniere anche molto speziate e con sapori forti, ma non mettiamo più, ad esempio, il finocchio e le bucce d’arancia nelle nostre salsicce di fegato e l’anice nei nostri dolci tradizionali “perché la gente non lo vuole”, togliendo in tal modo complessità al sapore e la storia del territorio dal cibo. Ricordo che il marcetto, il formaggio con in vermi, è stato vietato da chi ci propone grilli e vermi. Lo trovo ridicolo e schizofrenico. Stiamo cancellando le nostre varietà e la nostra cultura. Accettare culture altre non deve significare autoestinzione né, tantomeno, modernizzare può significare standardizzazione. Termino con delle domande: se dico babà o pizza, il pensiero va a  paesi arabi e a ritorni americani o a Napoli e all’Italia? Se vado a Guardiagrele quale dolce vorrò assaggiare?

Lei ama la solitudine o è la solitudine che ama lei?

La solitudine mi fa molte avance, forse perché non la disturbo e la faccio sentire a suo agio. Amo solo la compagnia che mi dà serenità e senza rumori di fondo.  Il mio sogno sin da ragazzo è stato quello di sentirmi solo in due: un solo battito e un solo respiro abbracciato a un’altra persona.

Studiando tradizioni e riti antichi, parla di maghi, streghe e situazioni paranormali. Non teme di essere considerato anche lei una specie di stregone?

Studio la tradizione popolare in generale, è un argomento che mi interessa da sempre. Ho scelto di parlare di questa sfaccettatura del folklore perché m’interessano molto l’occulto e le creature della notte, perché è quella trattata con più superficialità dai molti, perché è una fetta importante della cultura popolare abruzzese e perché vedo che molte persone ne sono affascinate quanto me. Temere di essere considerato uno stregone? Perché temerlo? Le streghe, quelle vere, sono persone che sanno qualcosa in più.

Scrive per se stesso o per gli altri?

Chi scrive per se stesso non pubblica. Si scrive per comunicare. Di solito lo si fa per se stessi e per comunicare se stessi agli altri. Ognuno lo fa per un proprio bisogno, che forse è sempre lo stesso.

Quando scrivo saggistica sono incuriosito da un argomento e lo voglio approfondire. Spesso, quando ho soddisfatto la mia curiosità, tendo ad accantonare il lavoro perché diventato per me noioso, ne ho i cassetti pieni. A volte devo forzarmi per concretizzare un lavoro, perché mi serve una pubblicazione o perché mi attrae talmente tanto un argomento che voglio condividerne la mia interpretazione.

Diverso è il caso della narrativa. Quando scrivo racconti parto da un’idea che mi ronza nella testa per tanto tempo e che pian piano prende forma, poi accade qualcosa (una forte emozione o sensazione…) che mi “costringe” a sedermi e ad iniziare a scrivere. A racconto finito tutto ha una logica che non avevo considerato. Il racconto sa cose che io non vedevo. Il racconto ha una sua vita che, di solito, si lega alla mia.  Certo, scrivo per me stesso, per un mio bisogno, ma poi ho piacere nel condividere le mie emozioni.

Molti poeti importanti, avendo visioni paranormali, hanno scritto poesia meravigliose, come Poe, Rimbaud ed altri. Che spiegazione può dare lei che ha studiato questi aspetti?

Una sensibilità superiore? Canalizzazione della scrittura? Sono le cose che più mi affascinano di questo mondo…e nella vita.

Che rapporto ha con la poesia?

La considero intima e molto complesso scriverne. Ne ho scritte tra i 12 e i 20 anni, e le ho chiuse nel cassetto.

Si è mai chiesto perché le persone sono così tanto attratte dai suoi scritti?

Spero perché riesco a far vivere emozioni e perché si sentono la sincerità e la passione che c’è in ciò che pubblico. Per quanto concerne le tematiche, credo perché le persone hanno bisogno, quanto me, di quel calore romantico che li riporta alla fanciullezza, ai nonni e alla loro terra. E forse perché il mondo sottile, il non rivelato, i colori della notte…hanno una loro vita e non parlano solo a me.

Nelle tradizioni include anche gli elementi usati in e per la cucina. Il suo rapporto con il cibo qual è?

La cucina è parte inscindibile della cultura di un popolo. Sono molto incuriosito dal cibo, mi piace conoscerlo e gustarlo, soprattutto la cucina tradizionale che cerco anche di far conoscere. La comprensione della cucina parte dalla conoscenza dei prodotti, passando per le ricette e il loro legame con il territorio. Cerco di approfondire leggendo e ascoltando esperti del settore, soprattutto quelli locali che stimo e che, in alcuni casi, ho il piacere di avere come amici e maestri. Ma cerco di approfondire anche nella pratica: sono stato (o sono?) il direttore della Scuola del gusto Abruzzo per la provincia di Chieti, un progetto molto valido e che ha coinvolto moltissime persone e istituzioni ma che, purtroppo, nel tempo ha perso forza. Spero la riprenda proprio per la bontà dell’idea che ne è alla base. Sono anche negli elenchi nazionali dei tecnici ed esperti degli oli di oliva vergini ed extravergini del Ministero delle politiche agricole e della Camera di commercio di Chieti, e mi dispiace molto non poter fare esperienza continua, fondamentale in questo ambito. Ho avuto anche la possibilità di partecipare a diversi convegni nazionali e internazionali sul cibo come relatore. Questo non per tracciare il mio curriculum gastronomico, ma per evidenziare l’importanza che do alla cucina, che non si limita a scherzosi post sui social o al pranzo al ristorante. Per questo scrivo articoli sul cibo e, a volte, ne inserisco i sapori nei saggi e i profumi nei racconti.  Ovviamente mi piace molto anche mangiare e cucinare. Tempo fa mi è capitato di leggere una citazione, credo attribuita a Fellini, che mi ha fatto uno strano effetto: «La vita è una combinazione di magia e pasta».

Ha una visione misteriosa della vita o è la vita che la rende misterioso?

Il reale mi annoia e mi ha deluso. Sono molto razionale ma vivo d’irrazionale. La parte misteriosa della vita è quella che attrae la mia attenzione, le cose che non si spiegano ma che danno una nota di magia alla vita. Fuggo le spiegazioni razionali dell’amore, del sorriso, di una carezza ma anche del piede che è capace del passo o delle sincronicità… Sono magia. Quanto sono misteriose e sconosciute le capacità energetiche umane! Il fuoco, che è la vita e la sua complessità, chi lo accende? Le risposte non mi interessano.  Sono misterioso? Forse difficili da capire e da accettare sono le mie emozioni. Forse sono poco attento alle forme esteriori attese e più ai contenuti. Forse mi lascio leggere solo da occhi puliti che poca importanza danno alle copertine disegnate da esperti di marketing.

In un saggio il poeta e scrittore Michel Houellebecq ha affermato: “La liberazione della donna conviene più agli uomini che vi vedevano l’occasione di un moltiplicarsi degli incontri sessuali. Ne è conseguita una dissoluzione della coppia e della famiglia, cioè delle ultime comunità che separavano l’individuo dal mercato. Credo che sia molto generalmente una catastrofe umana.” Lei è dello stesso parere?

Non vedo l’emancipazione sessuale come una liberazione, per nessuno e da nulla. Vedo altre necessità di liberazione prioritarie: quelle della mente, dello spirito e dall’Ego. Certo, ognuno ha il diritto di scopare con chi vuole e quanto vuole, ma, tolte le motivate eccezioni, quando si è parte di una coppia, questa “libertà” deve essere condivisa e accettata da entrambi, altrimenti parliamo di non rispetto della persona che vuoi al tuo fianco e di tradimento dei sentimenti, della fiducia e di un patto… Si diventa ancora più soli.  Ma non credo che la libertà sessuale sia l’origine del disfacimento delle famiglie, delle comunità e di ogni altro legame. È il culto dell’Ego che sta distruggendo tutto, o ha già distrutto ogni patto di reciprocità. Siamo tutti interessati al proprio io, al proprio corpo, alle proprie emozioni e ai propri bisogni. Anche la generalizzata e urlata solidarietà sa più di abbellimento dell’ego. L’altro è diventato solo uno strumento al nostro servizio. Ci interessa l’orgasmo, restando nel tema della sua domanda, e l’altro esiste solo come mezzo per facilitarlo, come un qualsiasi oggetto, meglio se griffato e costoso. Ma quanta miopia! L’essere umano solo, quale futuro può avere? La schiavitù! Ecco, questa è una liberazione che ritengo utile.

Ci racconta la storia degli “attentatori’?

Si riferisce a dei miei post scherzosi sui social. Gli attentatori, da attentare, tastare in dialetto abruzzese, sono coloro che credono di possedere l’arte del comprendere la qualità del cibo toccandolo. Chiamo attentatore chi attenta infilando il pollice da intenditore in ogni pezzo di pane negli scafali del supermercato scegliendo quello migliore, adatto al proprio sofisticato palato, anche se sono tutte baguette fatte con lo stesso impasto industriale e riscaldato nello stesso forno e nello stesso istante. Coloro che lasciano il buco fatto dal loro magico pollice in ogni pesca o pera nelle cassette del fruttivendolo, anche se è frutta uscita dai frigoriferi e della quale non sanno distinguere neanche la cultivar. A loro poco interessa che gli altri acquirenti troveranno pane e frutta rovinati e toccati da loro, perché l’attentatore merita solo il meglio per sé e la sua famiglia.

Questa è l’ultima domanda ma è anche la diciassettesima! È un segno?

Sono abituato al 17, fa parte del personaggio. Trattando di streghe e fantasmi spesso si gioca su questa cosa. Infatti, neanche questa domanda 17 ci sarebbe stata altrimenti. Ma, parlando seriamente, se si lega il 17 alla disgrazia o alla non vita, rispondo che dopo ogni fallimento c’è un insegnamento e dopo la morte c’è la rinascita. Negli arcani maggiori il 17 è la Stella: una donna nuda nella sua genuinità, con il piede destro nel ruscello e il ginocchio sinistro poggiato sulla terra; con due anfore versa acqua sia nel ruscello che sulla terra; sotto un cielo stellato, otto stelle; accanto a lei c’è un albero e sopra questo il sacro ibis. Nell’equilibrio dell’infinito c’è la speranza, dopo la purificazione da serpi e carogne. L’alba è vicina con la purezza dell’anima. Il 17 mi piace, così come adoro le stelle nel cielo notturno.

di Antonio Fagnani

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David Ferrante è Dottore di ricerca in Scienze sociali presso l’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara dove ha collaborato, in qualità di cultore della materia, per oltre quindici anni, all’attività didattica di diverse cattedre tra le quali: Sociologia dei gruppi e della comunicazione personale e interpersonaleSociologia generale, Metodologia e tecnica della ricerca sociale, Politica sociale e pubblica, Psicosociologia. Come esperto di sicurezza urbana e incivility è stato membro del Comitato scientifico regionale per le politiche della sicurezza e della legalità della Regione Abruzzo. Tra le pubblicazioni d’impronta sociologica, le monografie No-Politicians. I giovani e la politica (2005) e Decoro Urbano. Sicurezza e Polizia locale (2010) e saggi all’interno di collettanee e riviste scientifiche e specialistiche edite dalla Franco Angeli, dall’Università d’Annunzio di Chieti, ecc.

Nel 2017 si avvicina per la prima volta alla narrativa con il racconto Quando passò la pandàfeche in cui descrive l’incontro notturno con il fantasma/incubo mito della tradizione abruzzese e nel 2018 con L’eredità dell’asino, sarcastico ritratto di una società legata ai beni materiali e omaggio al poeta dialettale Modesto della Porta (1885-1938).

Tra i suoi lavori dedicati ad aspetti etnografici, esoterici e leggendari del folclore abruzzese, oltre a diversi racconti, il saggio Tradizioni, riti e sortilegi del 24 giugno. San Giovanni Battista nella cultura popolare abruzzese (2018), finalista per la saggistica al Premio dell’Editoria Abruzzese 2018, ristampato in edizione ampliata nel 2021 e le antologie, di cui è ideatore e curatore, L’Ammidia. Storie di Streghe d’Abruzzo (2019), Fate, Pandafeche e Mazzamurelli. Storie di miti, superstizioni e leggende d’Abruzzo (2020), Magare. Storie di Streghe d’Abruzzo v.2 (2021). Nel 2022 la sua prima silloge personale di racconti: Il dolore della luceRacconti di streghe, fantasmi e di me.