“Comincia tutto dal caffè”

Christian De Mattheis,giovane regista teramano delle fiction Ris e Intelligence

Christian De Mattheis

“La sigaretta, ad esempio, la usano solo i cattivi…” L’intervista con Cristian De Mattheis, regista teramano delle fiction Ris e Intelligence (per la seconda unità), è partita da queste sue parole. O meglio: da qui in poi ho preso appunti sul mio taccuino. Il motivo? Inchiostro finito nella mia stilo e cameriera del bar si è scordata

per un paio di volte di portarmi una bic. Intanto, però, Cristian aveva cominciato a raccontare della sua vita ed eravamo arrivati alle restrizioni del linguaggio televisivo. “Le restrizioni in TV sono numerose. Cosa, a pensarci, normale dal momento che tutti la guardano. Persino il Papa. Subiamo un grosso controllo espressivo specie per le immagini che trattano i minori, la violenza e il sesso. Tuttavia ditemi se esiste, in questo senso, qualcosa di più volgare di un telegiornale odierno…” Quali sono oggi le potenzialità del mezzo televisivo? “Molte più del cinema per un italiano medio, sicuramente”, spiega. “La televisione ha un rapporto intimo con i telespettatori: accompagna il ritmo di ogni giorno, ogni giorno viene interpellata e ascoltata. Purtroppo non sempre al livello contenutistico è impeccabile, anzi. Altrimenti non avremmo prodotto una generazione di personaggi popolari (in senso negativo). Si raccoglie ciò che si semina e negli ultimi anni si è spesso seminato male.” Che cosa significa esattamente essere un regista di fiction? “Intanto, (ad esempio in Ris Roma) io, come regista della seconda unità, gestisco i casi di puntata, mentre il regista della prima unità si occupa dei casi che si esauriscono in più puntate. Cosa significa essere regista di fiction? Be’, intanto conoscere molto i mezzi tecnici: sapere esattamente come fare il tuo mestiere e quindi dominare il set di ripresa ottimizzando tutti i tempi. Considera che non abbiamo mai molto tempo per riprendere una stessa scena più volte: dobbiamo contare molto sulla bravura degli attori, cosa purtroppo non sempre possibile. La produzione, a volte, ci manda dei veri quello che può, e se mancano i soldi… Sono rospi da mandar giù.” Mentre il nostro regista racconta cerco di recuperare a mente gli appunti non presi in precedenza. D’altronde me lo aveva detto: “Guarda che non ti ripeto nulla!” Non scherzava. A proposito (lo interrompo) come ti trovi con gli attori italiani? Ce ne sono di bravi? “Assolutamente sì, ce ne sono molti di bravi:  mi piacciono molto Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Claudio Gioè con il quale avrò la fortuna di girare la prossima serie di punta di Canale Cinque dall’enigmatico titolo ‘Il 13 apostolo’. Direi che su tutti sono i più promettenti. Come mi trovo? Non sempre bene, a dire la verità. In Italia c’è la malsana idea che l’attore debba essere se stesso fuori e dentro il set. Non c’è quindi interpretazione del personaggio, cosa che a mio avviso è invece essenziale e che ho trovato in passato quando facevo l’assistente di norma negli attori americani. Con loro si lavora benissimo.” Una curiosità: come si gestisce una fiction? Mi guarda perplesso: “Spiegati meglio…”  Come si studia l’esatta evoluzione di personaggi, trame, intrecci etc. Ecco, come si gestiscono le risorse di una storia? “Si tratta di un lavoro molto complesso che passa per più mani. Insieme agli sceneggiatori mettiamo giù dei grafici le cui linee rappresentano tutti i possibili sviluppi. Generalmente, almeno per quanto riguarda i protagonisti, seguiamo sempre una formula tripartita.” “Tesi, antitesi, sintesi? La riscossa del buon vecchio Hegel?” Cristian si fa una risata, poi risponde: “Be’, ecco, più o meno…” Qual è il rapporto tra finzione e realtà? “Il rapporto tra finzione e realtà è il nostro gioco: noi giochiamo con la realtà per poterla raccontare. È chiaro che in realtà un lavoro come quello della Scientifica sarebbe in realtà noiosissimo. Noi giochiamo con questa realtà per renderla come dovrebbe essere nella sua teoria e facendo questo ne diamo anche un’interpretazione. Questo è il nostro sforzo più grande in TV.”  Ormai sono quasi vent’anni che tu lavori nel mondo del cinema e da quattro che fai fiction. Che cosa significa intraprendere un simile percorso artistico e professionale? Resta un attimo pensieroso, forse ripercorrendo gli anni e le fatiche di un lavoro molto difficile e forse non ancora considerato appieno. Alla fine dice: “Guarda… si comincia sempre portando i caffè agli attori. E questa è una cosa essenziale: ha un forte valore simbolico. Tutti i ragazzi che escono dal centro sperimentale di cinematografia dovrebbero cominciare da questa gavetta e da questo preciso gesto. Bisogna poi sapere che una simile carriera toglie molto equilibrio alla propria vita. Si sta molti mesi fuori ed è difficile conciliare le proprie ambizioni con la vita di tutti i giorni. Chi è disposto a questi sacrifici ha buone possibilità di farcela.” Un attimo di silenzio su queste parole, poi qualche ultima battuta e la cameriera che porta il conto. Mi offro per pagare, ma mi blocca: “Lascia stare, oggi sta a me. La prossima volta, però, portati una penna migliore!”