BANCA TERCAS – L’inglorioso declino di una prestigiosa istituzione (e dei suoi protagonisti)

tercas_angoloIL CREPUSCOLO DEGLI DEI

Il 5 maggio del 2012 i teramani apprendono che la Banca Tercas, il più importante istituto di credito della città e dell’intera regione è commissariata «per gravi irregolarità e controlli inadeguati». Azzerati tutti i vertici, la Banca d’Italia nomina

Riccardo Sora Commissario Straordinario, con il compito di valutare la situazione dell’istituto, ma al tempo stesso garantire la tutela della clientela e la regolarità dell’attività aziendale. Nonostante la notizia sia di notevole impatto mediatico, i teramani non mostrano eccessiva sorpresa anche se iniziano a seguire con crescente attenzione gli sviluppi della vicenda che vede coinvolti, direttamente o indirettamente i massimi esponenti economici locali e non solo. Il commissariamento infatti non è giunto inatteso ma al termine di un’ispezione iniziata a settembre da parte della Vigilanza di Banca d’Italia, che sospetta vicende poco chiare. In particolare si erano intraviste una “gestione a rischio del credito e operazioni disinvolte” che avevano suscitato l’interesse della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate. «La Cgil aveva già scritto alla Banca d’Italia approvando il progetto di mettere sotto controllo la gestione della Tercas “- spiegavano i responsabili, provinciale e aziendale, della CGIL Mauro D’Ignazio eGaetano De Lauretis.

Tutto ha inizio con l’indagine della Procura di Roma sul fallimento del costruttore romano Raffaele Di Mario, e della Gdf di Teramo incaricata di svolgere indagini ed acquisire documentazione relativa a questo crac. La vicenda appare da subito complessa e dai contorni poco chiari, ma conduce inesorabilmente all’ex direttore generale Antonio Di Matteo chiamato a spiegare il suo ruolo nel fallimento di una decina di società romane sospettate di aver fatto sparire oltre 100 milioni di euro e tasse non pagate per 50. A tutto ciò si aggiunge, sempre per Di Matteo, la richiesta della GDF di fornire notizie in merito agli investimenti di alcuni teramani nella Smi, la Banca di San Marino, nella quale risultavano depositi di 40 abruzzesi, tra i quali appunto molti teramani. Il commissariamento mette così fine ad una situazione che ruota attorno al dg Di Matteo, il quale già un paio di mesi dopo il suo ingresso in Tercas aveva fatto erogare un finanziamento di 60 mln di euro (un quinto del capitale sociale di allora che era di 300 mln) per una operazione “sponsorizzata” da Giovanni Consorte – e in cui era presente anche la Hopa del finanziere Emilio Gnutti. Così, con l’accusa di “bancarotta, ostacolo all’attività finanziaria di vigilanza e associazione per delinquere”, il 18 dicembre 2013 Antonio Di Matteo viene arrestato nella sua casa di Avezzano. Insieme a lui sono 19 le persone indagate e 200 milioni di euro la cifra sequestrata, in pratica quanto mancherebbe nelle casse della banca. Tra le persone coinvolte anche il finanziere modenese Gianpiero Samorì, che 4 anni prima, si era fatto garante di un conto corrente da un milione di euro aperto a Teramo dall’Emilio Fede nazionale. E poi Francescantonio Di Stefano, patron di Europa7, Raffaele Di Mario e Cosimo Di Rosa (del Gruppo Dimafin), Antonio Sarni (autogrill), Pancrazio Natali. Con Cinzia Ciampani, convivente di Di Matteo, sono tutti accusati di “associazione per delinquere finalizzata all’ostacolo delle funzioni di vigilanza, all’appropriazione indebita, alla bancarotta fraudolenta e al riciclaggio”. Altri indagati sono l’imprenditore Vittorio Casale, Gabrio Caraffini, Lino Niisi, Gilberto Sacrati, Sergio Pellerey, Lucio Giulio Capasso, Saverio Signori, Paola Ronzio, Roberto Bertuzzo e Livio Filippi. Tutti rei, secondo l’accusa di aver, letteralmente, “prosciugato” i fondi della banca.

(PrimaPagina ed Gennaio 2014)