Un libro, un luogo d’Abruzzo a cura di David Ferrante: Remo Rapino e le Cronache di Scarciafratta e Cocciamatte

«Quelli dicono, ridendo, che non si può scrivere a un paese, che non si può scrivere ai morti, che sono mezzo matto, che non parlo con nessuno, a parte la luna. Io invece ci parlo con la luna e i morti, i miei e quelli degli altri.»

La cosa brutta, ovvero il terremoto, ha distrutto Scarciafratta, paesino inerpicato tra i crinali dell’Appennino. Gli abitanti stanno andando via, tranne Mengo e il suo cane Sciambricò.

Quelle case ridotte a pietre che rotolano e si consumano nel tempo, sono un teatro dove rivivono i fantasmi di una vita passata.

Scavando tra le macerie della scuola, Mengo ha trovato i quaderni dei bambini e un registro dell’Ufficio anagrafe con nomi e date di nascita, di morte e di matrimonio. Il passato ritorna insieme a Ninetta Incantalupo, l’amore della vita di Mengo, Bentivoglio Brunetto, il bambino riccio che gli chiedeva sempre una caramella, la madre che aspetta il figlio partito per la guerra di Russia, il minatore morto in Belgio, il disperso in Spagna, Spartachetto l’anarchico coi suoi discorsi di rivoluzione e libertà, Cafiero Della Torre, l’Asino del Bellamore.

«Mengo coltivava due passioni, una per le persone che andavano via, l’altra per le pietre che morivano.»

Ma il paese si è definitivamente svuotato, e Mengo viene portato alla casa di cura Villa Adriatica. Durante l’anno trascorso tra pareti di quella prigione dal bianco angosciante, l’uomo passa il tempo a scrivere di tutte le storie di Scarciafratta che ricordava, fino all’alba del 21 luglio 1969, quando Neil Armstrong e Edwin Aldrin sbarcano sulla luna, mentre lui termina di scrivere l’ultima lettera.

Sono le storie di Mengo, quelle raccontate da Remo Rapino in Cronache dalle terre di Scarciafratta, edito da minimum fax nel 2021, romanzo che segue il premiato Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, pubblicato nel 2019 sempre da minimum fax, Premio Campiello, finalista al Premio Napoli e candidato al Premio Strega.

«Mò, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese, vanno dicendo che sono matto. E mica da mò, che me lo devono dire loro, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese che sono matto. Pure io lo so, e sempre ci penso, notte e giorno, d’inverno e d’estate, ogni giorno che il Padreterno fa nascere e morire, con la luce e con lo scuro, ci penso che ci ho sempre pensato per vedere di capire come mai sta coccia mia da quasi normale s’è fatta na cocciamatte, tutta na matassa sgarbugliata fuori di cervello.»

Bonfiglio Liborio è la cocciamatte del paese. Nato nel 1926, rimasto solo dopo la morte del nonno e della madre, lascia il faticoso lavoro di funaro e diventa garzone dal barbiere. Partirà per cercare fortuna a Milano dopo aver fatto il militare e perso l’unica donna che amava andata in sposa a un altro. Nel libro si racconta il periodo passato in manicomio, che per Liborio non è stata un’esperienza negativa, tanto che non sarebbe voluto uscirne. Forse perché il manicomio è il luogo dove risiede la diversità e la necessaria comprensione dell’altro. Cacciato dal manicomio si predispone verso la rinascita, verso lo sviluppo di una nuova coscienza.

Uno dei sensi del libro consiste nel tentativo di raccontare la storia di un secolo attraverso gli occhi, le parole, i ricordi di una cocciamatte: il fascismo, la guerra, la Resistenza, l’emigrazione verso il Nord, il boom economico, il ’68, l’esperienza dolorosa del manicomio, fino al ritorno al paese d’origine dove sarà considerato matto.

«Ogni storia di uomo, matto o normale, è una mescolatura delle stesse cose, na cascanna di lacrime, qualche sorrisetto, na cinquina di gioie di straforo, e un dolore grosso come quando al cinema si spengono le luci. Uno si siede davanti alla porta di casa e aspetta che passa la morte che mi dice: Guarda Libbò, che è finita la storia e non c’è più parola da dire.»

Cronache dalle terre di Scarciafratta e Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio sono racconti tra le rocce abruzzesi di Remo Rapino

Remo Rapino è nato a Casalanguida, in provincia di Chieti, e risiede a Lanciano dove è stato professore di filosofia e storia nel locale liceo classico. All’attività da docente ha accompagnato, sin dal 1993, l’attività di scrittore e poeta. Ha pubblicato i romanzi Dissintonie (1993); Un cortile di parole (2006); Il salice, il grano, la rosa (2011); Quaderni, storie di calcio quasi vere (2015); Vite di sguincio (2017); Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio (2019); Cronache dalle terre di Scarciafratta (2021); Fubbàll (2023). I racconti: Cantate inattuali (2010); I ragazzi che dicevano okay (2011); Esercizi di ribellione (2012). E le sillogi poetiche: La vita buona (1996); La profezia di Kavafis (2003); Le biciclette alle case di ringhiera, per la Tabula Fati (2017).

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David Ferrante

Scrittore e sociologo, appassionato studioso e divulgatore della cultura popolare. Ha all’attivo diversi scritti d’impronta sociologica tra i quali due monografie pubblicate dalla Tabula fati e vari saggi all’interno di collettanee edite dalla Franco Angeli, dall’Università d’Annunzio di Chieti, ecc.

Tra i suoi lavori dedicati agli aspetti magici e leggendari della cultura popolare, oltre a diversi racconti, il saggio Tradizioni, riti e sortilegi del 24 giugno. San Giovanni Battista nella cultura popolare abruzzese (2018-2020). È ideatore e curatore delle antologie L’Ammidia. Storie di Streghe d’Abruzzo (2019), Fate, Pandafeche e Mazzamurelli. Storie di miti, superstizioni e leggende d’Abruzzo (2020) e Magare. Storie di Streghe d’Abruzzo v.2.

Nel 2022 esce la sua prima silloge personale Il dolore della luce. Racconti di streghe, fantasmi e d’amore in cui reale e irreale, amore e crudeltà cercano un punto d’incontro e di fusione.

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