LUNA DI GIUGNO. Versi di Anna Manna e commento critico di Daniela Fabrizi

LUNA DI GIUGNO

“Certe sere
la luna d’argento
veniva a farci compagnia

Si posava silenziosa
sul nostro letto

Il mare era nitido, fermo
la rifletteva enorme, luminosa
e ci sembrava di galleggiare nella sua luce.

Le nuvole fredde erano ormai lontane

Giugno scaldava anche i cieli. 

Portavo mille nastri tra i capelli
che tu legavi ad uno ad uno
con i raggi della luna

Sollevata da lacci di sogni
mi facevi volare 
su zattere capaci di sfiorare l’orizzonte
dove incontravo bizzarri cavalli
lanciati sull’acqua del mare

Cavalcavamo insieme
tra il cielo e le nuvole
spruzzando salsedine e spuma
coprendo i tramonti del mare

Lungo la scia luminosa delle stelle
inventavi magiche fiabe
fino a raggiungere l’estasi

Poi piombavo di nuovo nella noia
e ti scrutavo scostante e altera

Ti consideravo sciocco
padrone soltanto della luna

Ma intanto in silenzio
tessevi la tela
e insieme ai nastri di mille colori
intrecciavi ai raggi della luna
i miei lunghi capelli biondi.

Io sorridevo beffarda,ironica, libera
ed ero prigioniera
di una sfera di luce d’argento
riflessa sul mare…………………..”

Ritratto – di M. P. De Carolis    con  Giuseppe Selvaggi         Daniela Fabrizi

Commento critico di Daniela Fabrizi*

Questa poesia era la preferita del critico Giuseppe Selvaggi che, ad una giovane poetessa che voleva essere apprezzata per le sue liriche impegnate, diceva: “Anna: qui sei libera, è una caduta di controllo sul testo, i versi ti vengono naturali, senza intenti pedagogici… non miri a nessuna ipotesi… è come se tu volessi dire soltanto questo, ripetere all’infinito questa immagine… che è molto bella, interessante, ed ha significati che capovolgono il rapporto uomo donna. È una poesia moderna, anche inquietante, è una vertigine eppure è ferma come in un quadro. È molto bella… lo capirai dopo… tra molti anni!”
Il   Padrone della luna , titolo metaforico e suggestivo, è una poesia d’amore, amore reale, carnale, non teorico o ideale ma vissuto senza categorie spazio temporali, senza ammaestratore di desideri.
Scivola, dall’incipit “certe sere”, maestoso cacciatore di emozioni, un racconto che lascia sfiorare alla luna il talamo celato tanto da permettere al suo “padrone” di intrecciare i nastri dell’amata all’insolvenza luminosa della sfera argentata.
C’è, in questo intreccio, la trama di un fiabesco incontro amoroso, intensissimo e impavido, seppure dettato dal gioco immaginifico e pago, ove niente disegna confini di mura e parole e tutto governa una maestosa passione. Di quelle che portano in alto, ma circumnavigando, di quelle che danno la libertà di togliere il morso e il bardo al cavallo.
Anna Manna riesce a salire i gradini che portano all’estasi incalzando i suoi verbi al galoppo con forti inarcature brivide i cui gesti conquistano un equilibrio di gloria grazie a quel “padrone della luna” che intuisce ciò che avverrà e ne fa sentiero di salsedine   e   spuma   su   cui   selvaggi   cavalli   nitriscono   al   cielo   nell’empito   e   nel desiderio.
Mirabile lo spannung narrativo che introduce la “noia” come petrosa rinuncia e volontà delusa. Formidabile sintesi dell’inquieta sospensione dell’io dopo il noi.
Il senso della pienezza che torna sul brecciato di cristallo e mette in dubbio ciò che il corpo ha preso per ciò che il cervello ha preteso. Ma il “padrone” lo è della luna, non potrà mai esserlo della persona poiché si padroneggiano cose ma non certo le Amate che, libere, sanno tessere trame amorose intrise di paesaggio e di cose.
Eppure il Padrone della luna sa fare il suo mestiere ed Anna scrive “…insieme ai nastri di mille colori/intrecciati ai raggi della luna./ io sorridevo beffarda, ironica, libera/ed ero prigioniera/di una sfera di luce d’argento/riflessa sul mare…”.
Il climax: beffarda, ironica, libera, risulta fecondo di suggestione e porta in alto, allo straripamento,   finché   quel   magistrale   “prigioniera”   riporta   il   canto   effuso   e simbolicamente metaforico dell’amata/amante fiera del mimetismo acrobatico di questa parola, per strappare una nota di epifanico orgoglio nell’ammettere sole prigionie di luna seppure mirabilmente addestrata da un “padrone” che ben conosce il valore amoroso dell’amata.
​Oggi Anna Manna ha capito che cosa aveva visto in questi versi il compianto
Giuseppe Selvaggi. Oggi Anna Manna è libera da stili ed intenti propedeutici, libera di essere meravigliosamente sé nella poesia e nella vita, con i capelli biondi ancora intrecciati ai fili argentei di quella luna che ubbidisce al padrone della maestria amorosa.
Il commento è pubblicato, come la poesia, con altro titolo,  nel libro di Anna Manna “Ebbrezze d’amore, dolcezze e furori” Nemapress edizioni, 2019.
* Daniela Fabrizi è poetessa e pittrice