I FIORI DEL MALE. DONNE IN MANICOMIO NEL REGIME FASCISTA in MOSTRA AD ASCOLI

L’8 MARZO AD ASCOLI LA MOSTRA FOTO-DOCUMENTARIA “I FIORI DEL MALE. DONNE IN MANICOMIO NEL REGIME FASCISTA”

Teramo, 6 marzo 2017 ‒ Dopo Teramo, Roma, Bolzano e Chieti, dall’8 al 22 marzo sarà esposta ad Ascoli Piceno la mostra I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista realizzata dalla Fondazione Università degli Studi di Teramo e curata dalla ricercatrice dell’Ateneo Annacarla Valeriano e dallo storico Costantino Di Sante.

La mostra, promossa dal Comune e dalla Provincia di Ascoli Piceno, dalla Commissione per le Pari Opportunità della Regione Marche e dall’Istituto per la Storia del movimento di liberazione nelle Marche si terrà a Palazzo dei Capitani e sarà aperta al pubblico tutti i giorni dalle ore 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 17.00.

In occasione dell’inaugurazione l’8 marzo, alle ore 17.00, nella Sala dei Savi si terrà una presentazione che prevede, dopo il saluto delle autorità, gli interventi della scrittrice Luana Trapè che racconterà Storia e storie del Manicomio di Fermo, dello psichiatra Alberto Mancini che parlerà della Psichiatria prima e dopo la legge Basaglia e dei curatori della mostra Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante. Al termine Cristiana Castelli leggerà alcune lettere rinvenute nel Manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo, con intermezzi musicali di Argeo Polloni.

L’idea di realizzare una mostra sulle donne ricoverate in manicomio durante il periodo fascista è nata dalla volontà di restituire voce e umanità alle tante recluse che furono estromesse e marginalizzate dalla società dell’epoca.

«Figlie, madri, mogli, spose, amanti: donne vissute durante il Ventennio. Ai volti delle ricoverate – si legge in una nota di presentazione ‒ sono affiancati diari, lettere, relazioni mediche che raccontano la femminilità a partire dalla descrizione di corpi inceppati e restituiscono l’insieme di pregiudizi che hanno alimentato storicamente la devianza femminile».

«Ci è sembrato importante ‒ spiegano i curatori della mostra ‒ raccontare le storie di queste donne a partire dai loro volti, dalle loro espressioni, dai loro sguardi in cui sembrano quasi annullarsi le smemoratezze e le rimozioni che le hanno relegate in una dimensione di silenzio e oblio. Alle immagini sono state affiancate le parole: quelle dei medici, che ne rappresentarono anomalie ed esuberanze, ma anche le parole lasciate dalle stesse protagoniste dell’esperienza di internamento nelle lettere che scrissero a casa e che, censurate, sono rimaste nelle cartelle cliniche».