CONSEGUENZE E PROSPETTIVE DEL VOTO EUROPEO

di Angela Casilli

Non si può fa finta o, minimamente pensare, che non sia accaduto nulla di nuovo dopo le elezioni europee, come vorrebbero farci credere analisti e politici, orientati quasi tutti a sinistra, nei dibattiti televisivi, perché il voto è stato tutt’altro che una scelta di stabilità, visto che la maggioranza europeista a Strasburgo è la stessa.

E’ una opinione errata per una serie di motivi che vanno dalla sopravvalutazione del ruolo del Parlamento europeo, alla sottovalutazione del ruolo del Consiglio europeo che ha i veri poteri decisionali, perché sono i primi ministri dei vari Paesi dell’Unione presenti nel Consiglio europeo che prendono le decisioni che contano e lo fanno tenendo ben presente i loro elettorati e la loro volubilità.

La maggioranza europeista presente nel Parlamento europeo apparsa in questa tornata elettorale abbastanza risicata, a causa della scarsa affluenza alle urne, non sembra essere molto affidabile sotto il profilo decisionale, perché l’area politica di riferimento risulta più ampia di quanto non si pensi e quello che succede nei singoli Paesi non manca di far sentire i suoi effetti su tutti gli altri.

Esempio plastico di quanto detto la rivoluzione politica in corso in Francia, dove Macron ha sciolto il Parlamento e indetto nuove elezioni nel tentativo di fermare l’ascesa della Le Pen e una sua alleanza con gli eredi di De Gaulle o, il terremoto politico in Germania dove, un movimento di chiara ispirazione neo-nazista ha sconfitto il partito socialdemocratico al governo, nel conteggio dei voti.

Sono circa vent’anni che commettiamo sempre lo stesso errore, cioè quello di sottovalutare l’astensionismo sempre più marcato nelle elezioni: dovremmo invece capire la lezione, perché l’elettorato si ribella in questo modo a un eccesso di regole, a un dirigismo e verticismo che non fanno bene all’Unione e sembrano segnare il suo declino.

Le élite europee debbono capire che bisogna difendere la politica dell’integrazione che punta ad una Unione europea che sia appunto “unione“, perciò vanno riviste le politiche finora seguite che, nel tentativo di guidare la transizione verde e quelle energetica, hanno solo creato malcontento e rifiuto nelle popolazione europee.

La conseguenza di questo diffuso malessere è stata, anzi è, la deriva a destra di molti Paesi, dopo il tramonto dei populismi di sinistra, come quello di Cinquestelle in Italia e di Podemos in Spagna.

Per questa ragione le classi dirigenti europee, interessate a non far definitivamente fallire il processo di integrazione a suo tempo avviato, devono oggi aprire la porta, senza chiedere genuflessioni preventive, a quelle componenti della destra che hanno dimostrato di saper governare nei loro Paesi e di conoscere la dimensione sovranazionale dei problemi e la necessità, quindi, di una maggiore solidarietà tra gli Stati che andrebbe a vantaggio di tutti, senza lasciare nessuno Stato solo, come invece è accaduto al nostro Paese con il fenomeno migratorio.

La nostra Premier è oggi l’unica ad aver vinto le elezioni europee tra i Grandi e, ai vertici del Partito Popolare, si è consapevoli di questo successo di cui la Premier dovrà fare buon uso, non solo ottenendo il massimo in termini di potere e poltrone, ma cercando di mantenere la barra dritta, come si suol dire con termine marinaresco, visto il grave empasse franco-tedesco.

L’opposizione da noi dovrebbe favorire questo, anziché mettere veti e questo vale per tutti i partiti che non sono al governo e soprattutto per il PD, il partito più forte tra i socialisti europei grazie al risultato ottenuto dalla Schlein, che potrebbe aspirare alla guida del Pse nel Parlamento europeo.  E’ interesse di tutti rilanciare l’Unione Europea su basi nuove e rafforzare la centralità italiana in Europa.